notizie storico-critiche | Il piattello, raffigurante Andromeda incatenata ad uno scoglio dalle Nereidi ed esposta ad un mostro marino, appartiene ad una serie composta da dodici elementi, uno dei quali risulta sostituito. Sono maioliche dipinte, toccate in oro a terzo fuoco, ciascuna delle quali è decorata con soggetti diversi (temi biblici, mitologici, paesaggi, architetture), le cui tese mostrano mascheroncini, castelli, puttini, fiori e ghirlande, a fondi gialli o azzurri. Nel 1858 Rovere (p. 145) così descriveva la decorazione del Gabinetto: "Le pareti pienamente intagliate e dorate, sono divise in campi da quattro lezzene scannellate, il cui fusto è coperto da eleganti lavori in madreperla..., nel fusto poi di caduna lezzena sono incastrati tre piattellini di maiolica finissima, con molto buon gusto e valentia dipinti a figure. Questi piattellini uscirono dalla manifattura di Savona, che fioriva al finire del secolo XVII, e le pitture son fatte dal savonese Bartolomeo Guidobono...". Questo errore di attribuzione fu a lungo ripetuto, tanto che ancora nel 1953 A. Pedrini, pubblicando alcune di queste maioliche nel suo libro dedicato agli ambienti e alle loro decorazioni nel XVII e XVIII sec. in Piemonte, ne conservava l'antico riferimento all'artista savonese. Fu V. Viale a riconoscerle come opere di Carlo Antonio Grue (1655-1723), celebre ceramista di Castelli d'Abruzzo, e a consigliarne l'esposizione alla Mostra dell'antica maiolica abruzzese, tenutasi nel 1955 a Napoli e a Teramo, nel cui catalogo alcuni piattelli furono illustrati da Gian Carlo Polidori. L'idea di inserire ad incastro nelle pareti le maioliche dipinte, secondo M. Bernardi, fu molto probabilmente suggerita da Filippo Juvarra, il quale "...infatti quando nel 1732 consigliò al ministro d'Ormea l'acquisto delle lacche per il Gabinetto Cinese, scrisse che queste potevano essere combinate, come decorazione, con le porcellane conservate nelle Guardarobe di S. M., tra le quali erano anche quelle del Grue..." (Bernardi M., Torino1959, p. 76). Nel 1974 Mallè nella sua pubblicazione riguardante la maiolica italiana dalle origini al XVIII secolo, dedicava un breve accenno anche ai piattelli di Palazzo Reale proponendo per essi una datazione all'inizio del XVIII secolo sulla base di confronti stilistici con la restante produzione dell'artigiano abruzzese. E' molto probabile che per questo soggetto, così come per gli altri temi iconografici che decorano questa serie di maioliche, Carlo Antonio Grue si sia ispirato a "...modelli grafici prodotti in serie e subito diffusi commercialmente dagli incisori e dai mercanti di stampe...", pratica abituale non solo nella sua bottega ma in generale tra gli "artisti della ceramica", come hanno dimostrato le ricerche condotte in occasione della mostra del 1992 sulle maioliche conservate nella raccolte del Castello Sforzesco di Milano (vedi Romano G., Uso, diffusione e commercio dei modelli grafici, in Biscontini Ugolini G.-Petruzzellis Scherer J. (a cura di), Maiolica e incisione. Tre secoli di rapporti iconografici, Milano 1992, p. 15). Nel caso specifico è forse possibile pensare che il Grue abbia guardato incisioni come quella di Agostino Carracci della serie Piccole lascivie, ora nella raccolta Bertarelli di Milano (Art. P. 36-77) o a qualche copia di questa (op. cit., Milano 1992, pp. 154-155). Carlo Antonio Grue, nato a Castelli (Teramo) nel 1655 e morto nel 1723, per l'originalità del suo stile, è considerato uno dei più interessanti e originali pittori su maiolica italiani. Peculiare della sua maniera e della sua scuola è la tavolozza in cui predominano i gialli, il verde oliva chiaro, l'azzurro pallido, l'arancione e il manganese. Il Museo di S. Martino a Napoli custodisce il maggior numero di opere di questo artista, undici, di cui tre firmate (Minghetti A., Le terre dipinte. Catalogo dei ceramisti dal Medioevo al Novecento, Firenze 1996, p. 242). |