notizie storico-critiche | La decorazione, collocata al di sopra dell'attuale volta dell'ambiente, fa parte di un complesso di opere, al piano nobile ed al secondo piano, emerse nel corso degli interventi provvisionali eseguiti contestualmente al cantiere di restauro a partire dal 1990, come tempestivamente segnalato da Costanza Roggero Bardelli (cfr. C. Roggero Bardelli, Torino. La Vigna del Cardinal Maurizio di Savoia, in C. Roggero Bardelli, M.G. Vinardi e V. Defabiani, Ville Sabaude: Piemonte 2, Milano 1990, n. 23, p. 179). L'opera è una significativa testimonianza della fase decorativa seicentesca della Villa, di cui già Augusto Pedrini segnalava l'importanza, richiamando l'attenzione sui lacerti di affresco riemersi in seguito ai bombardamenti del luglio-agosto 1943: "... dal groviglio di travi bruciate e contorte [emergevano] fregi dipinti con soggetti di caccia e paesaggi."(cfr. A. Pedrini, Sul Palazzo Chiablese detto anche Villa Lodovica presso Villa della Regina, in <>, 1961, n. I, pp. 26-27). Il complesso decorativo venne occultato verosimilmente già nell'ultimo decennio del secolo XVII, o comunque non oltre l'inizio del Settecento, nel corso delle opere di ampliamento del compendio: il modello decorativo proposto - quello tipico degli anni centrali del XVII secolo - era infatti inadeguato alle nuove tendenze del gusto ed alle funzioni di rappresentanza dell'ambiente. I riferimenti stilistici e cronologici dell'opera sono stati messi in luce da Cristina Mossetti: "... In un panorama figurativo che gli studi devono ancora definire, i rimandi sono per ora ai modelli dei frescanti lombardi a Venaria, ma ancora di più agli impianti decorativi che attorno agli anni sessanta si allestiscono in Palazzo Civico a Torino, nella sala delle Congregazioni con Casella, e, nel canavese, a palazzo Armano di Grosso." (C. Mossetti - a cura di - Villa della Regina. Diario di un cantiere in corso, Torino 1997, p. 59). Il riferimento in direzione di Andrea Casella, probabilmente in collaborazione con il fratello Giacomo per le porzioni meno riuscite, sembra da confermare alla luce degli stretti confronti stilistici con le scene della Sala dei Templi di Diana a Venaria. Il riferimento all'antico, tramite gli sfondati architettonici, diventa occasione per presentare un repertorio di edifici classici, mostrando l'orientamento classicista della committenza e la cultura dei frescanti indirizzata verso gli esempi del barocco romano, pur se semplificati: in questo senso è importante ricordare la permanenza di Andrea Casella nei cantieri di Pietro da Cortona a Roma, ricordata dalle fonti (L. Lanzi, Storia Pittorica, Bassano 1809, ed. a cura di M. Capucci, 1968-74, vol. III, p. 250) e il gradimento riscosso dall'artista presso il cardinal Maurizio, come prova il pagamento di due dipinti destinati alla Vigna nel 1654 (cfr. ASTO, Camerale, art. 405, 1654, f. 10v). Proprio questi dati hanno suggerito una datazione non troppo avanzata e a cavallo fra la committenza del cardinale e quella della consorte Lodovica, a cui potrebbe essere ricondotto il completamento della decorazione, nell'ambito degli interventi di ampliamento segnalati, seppur genericamente, nell' inventario dei beni oggetto dell'eredità del cardinal Maurizio del 1677 (ASTO, Corte, Casa Reale, Principi Morizio e Lodovica, m. 3, fasc. 8). Da un primo spoglio dei registri di conto della principessa sono per ora emersi soltanto consistenti capi di spesa <> negli anni 1670-1671 (cfr. C. Mossetti - a cura di - 1997, p. 61 e nota 31, p. 64). Il restauro ha permesso di porre in evidenza un primo dato tecnico, ossia la presenza di due differenti pratiche esecutive: da un lato il pittore di quadratura, che opera su una preparazione spessa e porosa con pennellate corpose e forti rialzi di colore, dall'altro quello delle scene figurate, la cui esecuzione appare meno rilevata e fatta di leggeri strati tono su tono, su una preparazione uniforme e più sottile. Il dato avvalora la convinzione che all'opera vi sia una nutrita maestranza di frescanti lombardo-luganesi, capeggiata da un pittore più dotato responsabile dell'impostazione e delle porzioni di più alto livello qualitativo.Da un punto di vista iconografico le quattro scene con figure sembrano da collegare, sulla base del cartiglio identificativo posto sulla scena della parete sud, ad un episodio della leggenda di Bacco, quello in cui il dio punisce Licurgo, re dei traci, per averlo cacciato con le sue nutrici, tentando anche di uccidere le Baccanti, e lo rende pazzo: scambiando il figlio Driante per una vite Licurgo lo uccide e quando rinsavisce il terreno è divenuto sterile; il suo popolo, a seguito di un oracolo, lo uccide per ripristinare la fertiltà dei campi. [Segue in Annotazioni] |