dati analitici | Secondo un'iconografia ricorrente in analoghi rilievi, non solo nella rappresentazione della scena ma addirittura nella tipologia, nella posizione, nel numero e nell'abbigliamento dei personaggi, la formella presenta il Bacio di Giuda, uno degli episodi della Passione. Una moltitudine di soldati con spada e altre armi si affolla intorno a Gesù, mentre in terra, in primo piano a sinistra, è il soldato cui S. Pietro, riconoscibile, dalla barba e dall'abito non militare nella figura in piedi a sinistra con la spada, ha tagliato l'orecchio. La formella era murata insieme alle compagne raffiguranti altri episodi della Passione entro cornice in stucco a lato del Crocefisso soprastante l'altare, sotto il braccio sinistro della croce.NR (recupero pregresso) |
notizie storico-critiche | Questa formella e le compagne raffiguranti altri episodi della Passione facevano parte di uno smembrato dossale d'altare. In origine tutte le formelle dovevano poggiare su mensole a dentelli, come ancora si vede nella scena della Crocifissione (cfr. scheda 14/00000553) e avevano avere un'incorniciatura a pinnacoli traforati, tipo leggeri baldacchini, di cui restano frammenti nelle scene dell'Andata al Calvario e della Crocifissione (cfr. scheda 14/00000551; 14/00000553). Dovevano, inoltre, essere completamente dipinte, come si evince dalle tracce di colore rimaste: i capelli tinti di nero, l'interno nero dei manti, i particolari somatici di alcuni volti definiti col pennello, i volti dei cattivi neri per distinguerli dai buoni con volti e abiti bianchi. Le formelle erano incluse in strutture lignee, come si vede nel ricostruito polittico di Napoli (Museo di Capodimonte) con la scena della Crocifissione al centro e le altre ai lati, Bacio di Giuda, Flagellazione, Salita al Calvario a sinistra, Deposizione, Sepoltura e Resurrezione a destra. La nostra formella, insieme alle compagne, va ad aggiungersi ai pochi esemplari di simili polittici in alabastro conservati in Italia: il polittico di S. Maria di Maiori, quello di Palazzo Bianco a Genova, quello di S. Benedetto Settimo presso Pisa, quello di Museo Civico di Ferrara e quello della Pinacoteca di Napoli; inoltre vari frammentari: due pannelli con S. Pietro e S. Paolo in S. Croce a Gerusalemme, pannelli con Storie di S. Caterina alla Cà d'Oro a Venezia, pannello nel Museo del Seminario di S. Maria della Salute a Venezia, pannello con l'Inconorazione della Vergine nel Museo Civico di Torino, pannello con Crocifissione nel Museo Civico di Catania, frammento con Bacio di Giuda n. 783 nel Museo del Castello Sforsesco a Milano, tre frammenti ora riuniti a trittico nella collezione Bagatti-Valsecchi a Milano (Bacio di Giuda, Crocifissione, Deposizione al Sepolcro), e frammento con testa di S. Giovanni Battista della Galleria Borromeo a Milano. La tecnica dell'alabastro si diffuse dalla metà del Trecento a tutto il Quattrocento nella terra di Derby, nei centri di Nottingam, York, Lincoln, Burton, Bristol, Norwich, da cui si irradiò in tutta Europa. Benchè sia estremamente difficile stabilire una successione cronologica per tali opere in quanto frutto di una produzione artigianale che mantiene nel tempo caratteri formali costanti, ripetuti sugli stessi modelli in innumerevoli esemplari, si usa dividerle in due gruppi principali, prima e dopo la data approssimativa del 1420, stabilita dal Prior nel 1913 (E.S. PRIOR, Illustrated Catalogue of the Exibition of English medieval alabaster works, London, 1913) e confermata dal Gardner (A.GARDNER, English medieval sculpture, Cambridge, 1937). Nella seconda fase la produzione scade. Questa classificazione principale viene a sua volta suddivisa ulteriormente. Le nostre formelle sono caratterizzate da enfasi drammatica e violenza patetica che scadono in effetti di grossolanità, nel grottesco e nel caricaturale, caratteri che si riscontrano nei polittici di Genova, Napoli e Ferrara, per i quali si usa far riferimento al retablo del Museo di Compiègne datato intorno al 1480 (R. Causa, Catalogo della mostra delle Sculture lignee nella Campania, Napoli, 1950, schede nn. 42-43, pp. 123-125). In particolare le formelle venafrane sono molto vicine a quelle del Museo Civico di Ferrara di cui hanno anche le medesime scene rappresentate con la stessa iconografia, le stesse ingenuità, la stessa scienza infantile della prospettiva, il medesimo bisogno di riempire di figure ogni minimo spazio vuoto in un "orror vacui" ancora di sapore medioevale. I personaggi si affollano (nella scena della Crocifissione superano la ventina), i sentimenti sono espressi negli occhi dilatati, le figurette dalle forme rigide e stecchite hanno nasi diritti e grandi, barbe aguzze o a ricci, esili gambe. Con quello di Ferrara, quindi, anche il nostro dovrebbe essere stato ristampato sull'esempio di quello di Napoli in forme più grossolane. Va quindi datato verso la fine del XV secolo (1480-1500). |