notizie storico-critiche | Il dipinto, raffigurante il busto di Cristo su uno sfondo di aperto paesaggio, è attestato per la prima volta nelle collezioni del Castello di Agliè a partire dall'inventario redatto dal pittore Sampietro nel settembre 1855, dove è segnalato al numero 759 nell'Alloggio di Madama Felicita, come "Testa di Gesù Cristo/ copia del leonardo". La ricognizione compilata nel settembre del 1857 registra la "Copia dal Leonardo Testa del Salvatore" con il numero 1050 nella "Camera da letto successiva N° CXIV" nell'Appartamento detto dei Principi verso ponente, già dotata di "una gran cornice dorata". Nel 1876 compare con il numero 550 nel "Salone di ricevimento" (n. 149) sempre al secondo piano, poi trasferito nel 1927 al terzo piano, nella "Camera ripostiglio (19-20)" della Certosa, dove al numero 5261 è segnalato "1 Quadro ad olio, sul legno cornice dorata rappresentante "Cristo di Leonardi". Nel 1964 è quindi identificabile con il "Dipinto olio su tavola entro cornice lavorata e dorata. Aut: Leonardo. Raff. Gesù Cristo", collocato nel "Corridoio dopo il cortile interno" (al primo piano nobile?) mentre dal 1984 è attestato nella camera da letto del I Ministro (n. 6), nell'ammezzato fra il piano terra e il primo piano, noto come "Vecchia Amministrazione". Come già affermato dagli inventari esaminati, l'opera riproduce la "Testa di Cristo" dipinta da Leonardo nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, di cui la Pinacoteca di Brera a Milano conserva un disegno che per tutto l'Ottocento godette di prestigiose attribuzioni all'artista toscano, fino al suo declassamento ad opera di Adolfo Venturi nel 1899. La realizzazione della tela in esame è forse da mettere in relazione con Carlo Felice la cui propensione per gli antichi maestri rispondeva ad una definita politica culturale, come attestano l'acquisto della monografia su Raffaello di Quatremère de Quincy e di molte stampe di traduzione oltre alla commissione di una grande copia dello stesso Cenacolo leonardesco (E. Gabrielli, Le decorazioni e gli arredi, in D. Biancolini, E. Gabrielli, a cura di, Il Castello di Agliè. Gli Appartamenti e le Collezioni, Torino 2001, pp. 26-27). Già alla fine del Settecento il volto del Cristo dell'originale leonardesco era divenuto quasi illeggibile, tanto che il pittore Teodoro Matteini di Pistoia, uno dei più brillanti allievi a Roma di Domenico Corvi e di Pompeo Batoni, nell'eseguire la copia del Cenacolo richiestagli tra il 1795 e il 1796 da Ferdinando III di Asburgo Lorena, aveva dovuto rifarsi al modello del disegno di Brera. Da quest'opera Raffaello Morghen trasse tra il 1797 e il 1800 un'acquaforte che presenta rispetto alla pittura di Leonardo alcune sostanziali variazioni avvertibili soprattutto nel volto del Redentore, contraddistinto da un principio di barba come appariva nel dipinto e in tutte le copie anche più vicine ai tempi di Leonardo (cfr. P. C. Marani, in Disegni e dipinti leonardeschi dalle collezioni milanesi, Milano 1987, p. 118). L'incisione di Morghen riscosse un notevole successo di critica e di pubblico, tanto da assurgere ad icona ufficiale alla quale era stato affidato il compito di tramandare l'immagine del Cenacolo di Leonardo (cfr. Federico Tognoni, in P. C. Marani, a cura di, Il Genio e le Passioni. Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, scheda n. 143, p. 374). Diverse erano quindi le fonti a cui l'autore della tavola di Agliè poteva attingere per replicare il volto leonardesco, tanto più che già a partire dall'inizio del XIX secolo il pittore Giuseppe Bossi era stato incaricato dal vicerè d'Italia Eugenio di Beauharnais di eseguire una copia dell'Ultima Cena, e per questo aveva realizzato tra la prima metà del maggio 1807 e la fine del giugno dello stesso anno un corpus di circa 80 lucidi, dai quali furono tratti disegni a sanguigna da impiegare, nelle intenzioni del pittore, come strumenti didattici da mostrare agli allievi dell'Accademia di Milano e a quelli delle scuole d'arte. All'Ottocento risale anche l'acquaforte con la Testa di Cristo del pittore di corte della regina Vittoria, Frederik Christian Lewis, eseguita tra il 1835 e il 1867 (Milano, Castello Sforzesco). Anche quest'opera è chiaramente da mettere in relazione con il disegno di Brera, come dimostra la palmare somiglianza dei connotati tali da sembrare sufficienti ad avvalorare una derivazione diretta o quantomeno da un altro esemplare molto vicino a questo prototipo, dal quale l'acquaforte del Castello Sforzesco di Milano si discosta solo per la presenza della barba, che contraddistingue anche il dipinto del Castello di Agliè. (prosegue in Osservazioni). |