notizie storico-critiche | Il busto del pontefice Leone XII, collocato nella nicchia a destra dell'altare nella cappella di San Massimo, fu pagato allo scultore algherese Antonio Moccia nel novembre 1827, rivelando anche nella produzione contemporanea la spiccata preferenza manifestata da Carlo Felice per i soggetti "all'antica" (cfr. ASTO, S.R. Casa di S. M. Conto del Patrimonio Particolare, Esercizio 1827, 4368, ord. n. 238: <>; E. Ragusa, Il rinnovamento ottocentesco della cappella di San Massimo, in D. Biancolini, M. G. Vinardi, a cura di, Il Castello di Agliè. Alla scoperta della Cappella di San Massimo, Torino 1996, pp. 45, 49 nota 10, fig. p. 45; E. Gabrielli, Le decorazioni e gli arredi, in D. Biancolini, E. Gabrielli, Il Castello di Agliè. Gli Appartamenti e le Collezioni, Torino 2001, pp. 61, 97 nota n. 325). Il busto è ricordato per la prima volta ad Agliè nell'inventario del 1908 che lo registra al numero 2543: <>; le successive inventariazioni compilate nel 1927 e nel 1964 lo registrano rispettivamente ai numeri 2169 e 606. Lo scultore algherese, nato intorno al 1805, nel 1823 raggiunge all'Accademia di San Luca lo scultore Andrea Galassi e il pittore Giovanni Marghinotti, inviati a Roma nel 1819 per volontà di Carlo Felice, come pensionati del Re di Sardegna (cfr. M. G. Scano, Pittura e scultura dell'Ottocento, Nuoro 1997, p. 49). Nel settembre 1827 Moccia è l'unico premiato tra gli allievi della classe di scultura nel concorso romano per un altorilievo raffigurante un Gladiatore combattente; due mesi dopo esegue il busto di Agliè. A lui Carlo Felice commissiona la statua della Beata Margherita di Savoia, la sua prima grande opera in marmo, ottenuta grazie alle garanzie fornite da Thorvaldsen, presso cui studiava all'Accademia di San Luca. L'opera risulta terminata nel 1830 quando, secondo lo scultore danese, subì un lieve danno a una mano che ne ritardò la spedizione da Roma a Torino dove doveva essere collocata in una delle nicchie all'interno della chiesa della Gran Madre (cfr. "Gazzetta Piemontese", n. 67, 5 giugno 1833, p. 332). Secondo il recensore, il giovane <>, aveva studiato per dieci anni a Roma: sarebbe dunque nato alla fine del 1805 e avrebbe avuto sui diciott'anni al momento del trasferimento a Roma (M. G. Scano, op. cit. Nuoro 1997, pp. 63, 283, nota n. 120). Il re, inoltre, richiese e fece collocare nel castello di Agliè un suo "Genio della Pace", citato in una lettera del 1828 da Thorvaldsen, probabilmente la scultura insignita del primo premio per il nudo nel concorso accademico del settembre di quell'anno e senza dubbio alla base della commissione per il tempio torinese (cfr. E. Gabrielli, op. cit. p. 83). Nel 1829 Moccia risulta ancora premiato per uno studio di <> (cfr. "Gazzetta Piemontese", 5 giugno 1833). In Piemonte l'artista godette della speciale protezione di Giuseppe Manno, primo ufficiale del Ministero degli Interni durante il regno di Carlo Felice e nei primi anni di quello di Carlo Alberto. Nel 1831, avvalendosi di un attestato del Thorvaldsen, chiese ed ottenne la continuazione della pensione da Carlo Alberto. Nel 1833, poco più che ventisettenne e ancora a Roma con pensione regia, modella dal vero <>, i marmorei busti di Carlo Alberto e della regina Maria Teresa che si conservano al castello di Agliè. Un busto di Giuseppe Manno alla Biblioteca Universitaria di Cagliari, eseguito a Roma nel 1834, conferma il suo rapporto con l'intellettuale sardo. E' l'unica opera del Moccia per il momento rintracciata in Sardegna e fu eseguita a Roma a spese del cavalier A. Ballero. Non essendosi rintracciate successive opere dello scultore, scomparso prima del 1842, il busto del Manno costituisce l'ultima testimonianza certa della sua attività, che probabilmente prosegue a Roma e ruota intorno al Thorvaldsen, al Finelli e al Tenerani (per Antonio Moccia vedi: M. G. Scano Naitza, La scultura nella prima metà dell'Ottocento tra la Sardegna, Torino e Roma, in Studi in onore di G. Lilliu per il settantesimo compleanno, Istituto di Antichità, Archeologia e Arte, Facoltà di Lettere, Università di Cagliari, Cagliari 1985, pp. 201-226). |