notizie storico-critiche | L'opera, proveniente dall'altare maggiore della chiesa di San Francesco al Prato, giunse in Galleria nel 1863 (si data a quell'epoca il taglio del braccio sinistro della croce, resosi necessario per fare entrare la monumentale opera in Pinacoteca). Dopo il 1737, a causa del crollo della chiesa, il dipinto fu collocato nell'oratorio di san Bernardino, dove rimase fino alla demaniazione. Il primo ad attribuirla al cosiddetto Maestro di san Francesco fu il Thode (1890, p.116), che la mise in relazione con le opere assisiati e con quelle conservate nella Galleria Nazionale dell'Umbria attribuite a questo maestro umbro attivo nella seconda metà del XIII secolo. Sebbene quasi tutte le guide locali riportino il nome di Margaritone d'Arezzo e sebbene il Rosini (1839-1845, vol. I, pp.192, 199, n.9) parli di Cimabue, la critica più recente concorda sul nome del Maestro di san Francesco, autore, insieme ad una fiorentissima bottega, degli affreschi con le storie del Santo nella Basilica Inferiore di Assisi, di alcune vetrate nella medesima chiesa, della tavola in santa Maria degli Angeli e di alcuni croci dipinte tra cui una conservata al Louvre e un'altra alla National Gallery di Londra, di qualche anno precedenti a quella qui presa in esame, datata 1272 (Gordon, 1984; Romano, 1994, pp.63-65). Serena Romano, vi rileva tratti giunteschi nella fitta decorazione del tabellone e nelle lumeggiature dorate del perizoma; mentre ritiene distanti dalle eleganze formali di stampo ellenizzante, presenti nelle opere in santa Maria degli Angeli e in san Domenico a Bologna, le figure laterali e quelle della tabella superiore della croce perugina "
più energicamente connotate della vivacità grafica e cromatica tipica del Maestro". La studiosa, infine, pone l'accento sulla sostanziale unicità ed omogeneità di linguaggio nell'opera dei vari maestri che componevano la bottega del cosiddetto Maestro di san Francesco, i quali, però, mostrano personali dialetti figurativi ora con inflessioni spoletine, ora ellenizzanti o bizantineggianti, nelle opere ad affresco, nelle vetrate e nelle opere su tavola. Lo stesso Maestro di san Francesco, non sarebbe altro che una delle tante figure presenti in questa bottega, straordinariamente ricca di linguaggi e prolifica di opere, che si formò ad Assisi e che poi esportò la propria sigla stilistica, strettamente legata al francescanesimo delle origini, anche in altre città limitrofe, come appunto Perugia (1982, pp. 64-65; 1984, pp.30-33; 1984, pp.109-140; 1994, pp. 63-65). La scelta fatta dalla comunità francescana perugina di far eseguire per san Francesco al Prato un crocifisso simile a quello di Giunta Pisano del 1236 destinato all'altare maggiore della basilica inferiore di Assisi, posto sopra la cripta contenente le spoglie del Santo fondatore, da collocare al di sopra della cripta con il sarcofago del Beato Egidio, terzo compagno di San Francesco, morto nel 1261, evidenzia come fossero stretti i rapporti non solo culturali tra le due grandi comunità religiose (Schultz e, 1963, p.137; Brooke, 1970, p.307; Gordon, 1982, pp.76-77). |