notizie storico-critiche | La statua rappresentante una figura maschile nuda, nella nicchia rustica destra della Grotta del Re Selvaggio, con un drappo intorno al collo che ricade sulla spalla destra, poggiante con il braccio destro (mutilo della mano) su un tronco, con base ovoidale (uguale a quella della scultura di sinistra), non è identificabile con sicurezza con una precisa divinità per l'assenza di attributi chiaramente riconoscibili e caratterizzanti - gli elementi metallici e i fori lungo la parte centrale del corpo indicano infatti la presenza di inserti ora rimossi (forse un Apollo?). E' ricordata genericamente da E. Olivero (La Villa della Regina a Torino, Torino 1942, p. 39) nel gruppo delle sculture dell'arredo della grotta, tra le "statue fracassate di efebi" disposte a destra e sinistra, insieme alle "due statue mutilate di matrone" (ora non più presenti). P. Cornaglia (SBAS TO 00168612, 1998) la ritiene settecentesca, evidenziandone il gusto neoclassico, rappresentato nel giardino di Villa della Regina dalle statue del Bacco e della Baccante di Giovan Battista Bernero. Il Testimoniale di Stato della Vigna della Regina ed annesso palazzo Chiablese, del 1864 (AST, Corte, Genio civile di Torino, versamento 1936, mazzo 17, n. 49), descrive la grotta "tutta incrostata alla mosaica formante tre nicchie, quelle laterali chiuse da cancelli in ferro", soffermandosi soltanto sulla scultura della nicchia centrale: una "statua d'Appollo in marmo in cattivo essere su piedistallo pure in marmo" (forse identificabile con la statua in questione), sostituita con la cosidetta statua del Re Selvaggio, da cui deriva la corrente denominazione dell'ambiente (non è possibile al momento stabilire il periodo della variazione, sicuramente già avvenuta al tempo di E. Olivero, 1942, p. 39). La grotta risale sicuramente al giardino seicentesco della villa poichè vi figura nella Veduta incisa per il Theatrum Sabaudiae, 1665-1666 (edito ad Amsterdam nel 1682), ma non è ancora certo se la realizzazione, l'impianto e la decorazione possa ascriversi al periodo di Maurizio di Savoia (1615-1657), o a quello di Ludovica di Savoia (1657-1677) (: C. Roggero Bardelli, V. Defabiani, M. G. Vinardi, Ville Sabaude, Torino 1990, pp. 172-199, 188; C. Roggero Bardelli, in I giardini del "Principe", a cura di M. Macera, Torino 1994, p. 16; V. Defabiani, Torino. Grotte di villa della Regina, in V. Cazzato, M. Fagiolo, M.A. Giusti, Atlante delle grotte e dei ninfei in Italia. Italia settentrionale, Umbria e Marche, Milano 2002, pp. 121-123). Lungo la volta e le pareti, il ricco decoro a maciaferro, il mosaico di marmi bianchi e rosa e conchiglie madreperlacee mostrano un gusto affine, per materiali e tecnica, alle grotte della Fontana d'Ercole di Venaria Reale, decorate con "mursi" (da Chiomonte e dalla Val di Susa) e conchiglie (da Marsiglia e da Genova), 1670 ca., da Tommaso Bagutto, Camillo Bosso, Giovanni Battista Muttoni, Carlo Francesco Scala e Giovanni Gianolio, sotto la sovrintendenza di padre Taddeo da Marsiglia (P. Cornaglia, Venaria Reale. Grotte del Palazzo, in V. Cazzato, M. Fagiolo, M.A. Giusti, 2002, p. 138). Le cornucopie e le quattro sirene bifide e alate, sulla volta centrale, si agganciano iconograficamente alla statua della Sirena (n. 00168600) posta all'ingresso della villa, denunciando l'appartenenza allo stesso contesto culturale. La grotta è ricordata anche da G. E. Gianazzo di Pamparato nel 1891 (Il Principe Cardinale Maurizio di Savoia, Torino, p. 24): "Mosaici e grotteschi lavori vi si ammirano oggi ancora, specialmente al di sotto alla prospettiva di mezzo, la meglio conservata, dove riscontransi una graziosa grotta con fontana e inferiormente due altre". |