notizie storico-critiche | Si identifica in questo gesso un'opera da collegarsi - probabilmente come bozzetto preparatorio - al "Fonditore", statua che Giuseppe Graziosi eseguiva verso il 1900, di cui si conserva il gesso originale, patinato color terracotta (h cm 195) nella Gipsoteca dell'artista presso il Museo Civico di Modena. La versione definitiva è documentata da una fotografia d'epoca, che ne restituisce l'aspetto completo, con il crogiolo, perduto sia in questo gesso che nell'altro originale (cfr. Guandalini 1984, p. 17, fig. 12 e pp. 144-145). Il "Fonditore" è tra i primi saggi con cui il ventenne Graziosi, dopo gli studi presso l'Istituto d'Arte modenese e neppure un biennio trascorso all'Accademia di Firenze (suoi maestri Augusto Rivalta per la scultura e Giovanni Fattori per la pittura), s'affaccia alla scena internazionale. L'opera è infatti presentata all'Esposizione Universale di Parigi del 1900, aggiudicandosi la medaglia di bronzo, e quindi all'VIII Biennale di Venezia nel 1909. "Appena un anno dopo la sua scomparsa fra noi - avrebbe scritto Ardengo Soffici nel 1939 -, oltre agli studi, ai disegni, agli schizzi pieni di forza e di vita... una seconda opera, il Fondiore, confermò la nostra stima e la nostra persuasione" (trascr. in Guandalini, cit., p. 144). In effetti il "Fonditore" costituiva una tappa di un itinerario di emancipazione dalla compiutezza formale dell'Accademia, poi accellerata dalla determinante esperienza parigina del 1903, con la diretta visione dei saggi di Rodin e dell'universo postimpressionista (per i precedenti accademici in ambito modenese cfr. Martinelli Braglia 1990, pp. 16-17 e 64-67). Intanto questo "Fonditore" mostra l'attenzione del Graziosi per un'allargata realtà artistica, che include Rodin, e, soprattutto, il belga Costantin Meunier. Da quest'ultimo l'artista trae l'impegno naturalistico e la scelta di una tematica volta alla "questione sociale", oltre che la tendenza a far assurgere l'individuo a simbolo di una condizione esistenziale, sulla scia di un Millet, superando le istanze del mero "verismo". Rispetto al gesso originale e alla versione definitiva, il gesso dell'Estense mostra, per la sua stessa natura di bozzetto, un modellato più vigoroso e franto e una maggior sintesi nell'elaborazione formale; così, ancor più perentoria è la torsione della figura, come avvitata da un'energia compressa, pronta a scattare, piena e libera, nello spazio circostante. |