notizie storico-critiche | Il dipinto è identificabile nel più antico inventario della Villa finora noto, risalente al 1755, con una delle sovrapporte che arredavano l'Anticamera verso Ponente dell'Appartamento di S. M. (23): "[...] la Dea Ope con Giove bambino assiso sulla capra amaltea sul Monte Ida [...] d'altezza piedi 2. onc. 5., larghezza p. 1.10. con cornici in parte intagliate, dorate, e parte gessate" (cfr. Angela Griseri, Un inventario per l'esotismo. Villa della Regina 1755, Torino 1988, p. 8). Non forniscono ulteriori informazioni gli inventari successivi (1767, 1777), che si limitano a riportare quanto già segnalato nella prima ricognizione settecentesca (Biblioteca Reale, sc. 45, Inventarj Villeggiatura Reali presso Torino. Villa detta della Regina, dossier n. 16). Nei Testimoniali di Stato del 1864 il riconoscimento è reso possibile dalla descrizione delle cornici perché le sovrapporte sono solo genericamente indicate come opere "[...] su tela a colori, rappresentanti oggetti mitologici" (ASTO, Corte, Genio Civile di Torino, Versamento 1936, 17). Il tema raffigurato appartiene ai brani mitologici cari all'Arcadia. Nella tela in esame è raffigurato Giove bambino con Amaltea, nutrice del dio nell'isola di Creta, dov'era stato partorito da Rea, che lo allevava segretamente per sottrarlo alle ricerche di Crono. Secondo la narrazione mitologica i Cureti suonavano e danzavano attorno al bambino per coprire i vagiti, mentre la capra (Aice) gli forniva il latte necessario (P. Grimal, a cura di, Enciclopedia dei miti, Milano 1987, p. 39). Da una fotografia conservata presso l'Archivio di Stato di Torino, databile verso la fine del XIX secolo, sappiamo che la tela in questione ornava la seconda cornice di sovrapporta collocata nella parete est, a destra del camino (ASTO, Corte, Corte, Istituti Assistenza e Beneficenza, IFM, m.§§§§ neg. 136959). Trasferito in altra sede durante il periodo bellico (cfr. Musei Civici, Archivio fotografico, scatola 985, lastra n. 37717), il dipinto è nuovamente attestato in questa collocazione da una fotografia di Pedrini databile al 1950 ca. (SBAS 67, Archivio Fotografico, neg. D/45185, ristampa Piccione 1997). Gli arredi d'interesse artistico della villa furono infatti trasferiti al castello di Agliè nel settembre del 1943, per sottrarli ai rischi di bombardamento: in realtà non è facile individuare con certezza la tela in esame da identificare forse con una delle quattro sovrapporte "con soggetti mitologici" citate nel documento relativo al "Materiale artistico della Villa della Regina trasportato ad Agliè il 2 settembre 1943 e dato in consegna al soprintendente ai Monumenti" (ASTO, Corte, Istituti Assistenza e Beneficenza, IFM, m. 656, Inventario dei beni mobili e catalogo della biblioteca, cc. n. n.). Il 12 settembre 1979 la tela è infine depositata presso la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte (cfr. SBAS 67, Archivio Storico, Villa della Regina). Il dipinto appartiene ad una serie comprendente altre tre sovrapporte (Apollo musico, perduto, Bacco e Arianna e Deucalione e Pirra) e due sovrafinestre (Nettuno con una Dea e Diana con una ninfa), opere tutte riferibili allo stesso autore, per il quale nel 1942 Eugenio Olivero avanza dubitativamente il nome di Corrado Giaquinto, ricordando la precedente assegnazione di Giuseppe Vernazza a Beaumont (E. Olivero, La Villa della Regina in Torino, Torino 1942, p. 25): in realtà a quest'ultimo pittore si riferivano "tutte le sovrapporte de' più nobili soggetti dell'istoria", senza specificazioni sui temi dei quadri e sulla loro ubicazione (Biblioteca Reale, Miscellanea Vernazza, 8 - 116). Marziano Bernardi, avvalendosi degli studi condotti su Giaquinto nel dopoguerra, gli affidava con sicurezza le opere in questione, pubblicando la fotografia della tela raffigurante "Apollo con Marsia", rubata nel settembre del 1979 (M. Bernardi, Tre palazzi a Torino, Torino 1963, tav. XXI; cfr. SBAS 67, Ufficio Furti, fasc. Torino, Villa della Regina, settembre 1979; C. Mossetti, a cura di, Villa della Regina. Diario di un cantiere in corso,Torino 1997, pp. 52-53, figg. 8-9). Più recentemente, Angela Griseri ha ipotizzato la presenza di collaboratori accanto a Giaquinto, riconoscibili nei "brani aperti di paesaggio e gruppi sveltiti" che fanno da quinta alle composizioni (Ang. Griseri, op. cit., Torino 1988, p. 8, nota 26). Il restauro condotto tra il 1992 e il 1993 dal Laboratorio Nicola di Aramengo d'Asti ne ha reso più agevole la lettura, lasciando supporre che l'intervento degli aiuti di Giaquinto sia stato più ampio del previsto. Pur riprendendo alcuni dei motivi stilistici ricorrenti nel pittore, quali la monumentalità dell'impianto compositivo e gli sfondi rarefatti, l'esito finale non ha la stessa eleganza delle opere dell'artista pugliese (continua in OSS). |