notizie storico-critiche | Nel Musée National de Céramique di Sèvres si conserva il modello in terracotta del "Giudizio di Paride", eseguito nel 1780 da Louis-Simon Boizot (E. BOURGEOIS, Le biscuit de Sèvres au XVIIIe siècle, Paris 1909, tomo II, p. 22, ill. 66). Una diretta derivazione in biscuit del modello, senza il festone di roselline apposto a freddo sulla base del gruppo plastico torinese, è comparsa a Londra in una vendita all'asta del 1° luglio 1985 (il biscuit londinese, con incusse nella pasta le lettere "AB", fu probabilmente modellato dall'originale di Boizot, da Alexander Brachard: si veda la scheda del "Jugement de Paris", n. B371 del catalogo della manifattura Nazionale di Sèvres a cui è allegata una riproduzione fotografica del gruppo). Dallo stesso modello deriva, oltre all'esemplare torinese, il "Giudizio di Paride" del Museo di S. Martino a Napoli, ritenuto finora un prodotto autoctono, della Real Fabbrica Ferdinandea, e due biscuits conservati nella Galleria di Palazzo Rosso e nella Collezione Durazzo Pallavicini di Genova. Nel caso napoletano risale a Giuseppe Morazzoni l'attribuzione a Giosuè d'Antonio (G. MORAZZONI, Le porcellane italiane, Milano 1935, p. 268), modellatore attivo nella Real Fabbrica, del "Giudizio di Paride". Elena ROMANO (La porcellana di Capodimonte, Napoli 1959, pp. 187-190) emendando il capitolo sulla manifattura di Napoli del libro di Morazzoni, propose una più diretta verifica del materiale archivistico reso noto da Camillo MINIERI RICCIO (Delle porcellane della Real Fabbrica di Napoli, delle vendite fattene e delle loro tariffe. Memoria letta all'Accademia Pontaniana nella tornata del 7 aprile 1878, Napoli, Bologna 1980, pp. 169-170) che ci informa sull'attività della fabbrica nel 1804, l'anno in cui, tra aprile e agosto, tre modellatori - Giovanni Pecorella, Camillo Celebrano e Giosuè d'Antonio - si cimentano nell'esecuzione di un "Gruppo grande del Giudizio di Paride". Le conclusioni della Romano sono però inficiate dal desiderio di procedere ad una automatica identificazione dei gruppi citati dai documenti e dei relativi autori: il risultato sta nello spostamento della insostenibile attribuzione a Giosuè d'Antonio a quello altrettanto insostenibile di Camillo Celebrano, fondata su confronti stilistici poco probanti. Il problema, non più ripreso negli anni successivi alla pubblicazione del testo della Romano, è stato da poco drasticamente ridimensionato da Angela Carola PEROTTI (La porcellana delle fabbriche borboniche, in Storia di Napoli, VIII, pp. 646-647; EAD., La porcellana della Real Fabbrica Ferinandea (1771-1806), Cava dei Tirreni 1978, p. 170) che ha acutamente osservato come sia necessario distinguere tra la responsabilità artistica del Tagliolini, capo modellatore della manifattura, e la collaborazione tecnica di Camillo Celebrano e Giosuè d'Antonio. Dello stesso avviso è Alvar GONZALEZ-PALACIOS (La Real Fabbrica della Porcellana di Napoli, in AA. VV., Civiltà del '700 a Napoli. 1734-1799, catalogo della mostra, Napoli 1980, vol. II, p. 126) che ha dato un fondamentale contributo all'approfondimento del problema, anche sulla scorta dell'inventario redatto al momento della vendita della manifattura (1807), da lui pubblicato in collaborazione con Vega de Martini (La vendita della Real Fabbrica della porcellana di Napoli nel 1807, in "Antologia di Belle Arti", nn. 15-16, pp. 214-245). E' interessante notare come la corretta attribuzione del "Giudizio di Paride" alla mnaifattura di Sèvres fosse stata formulata nel Catalogo della Galleria di Palazzo Rosso a Genova da Onorato GROSSO (Genova 1932, p. 90). Il gruppo di Palazzo Rosso, già facente parte della collezione della Duchessa di Galliera, si trovava nel Palazzo Bianco fino al 1928; Ida Maria Botto (si veda la scheda delle Gallerie Comunali di Genova relativa al "Giudizio di Paride") segnala l'esistenza di un identico esemplare nella collezione Durazzo Pallavicini. Dall'esame del gruppo si osservano tracce di restauri eseguiti in epoca successiva. |