dati analitici | Tre giovani donne, vestite di arancio, verde squillante, blu, viola, rosa e giallo, siedono sulle nubi che i venti, teste paffute di putti, spingono verso l'alto. Le giovani sono accuratamente acconciate ed ingioiellate, una di loro solleva un fiore rosato, mentre un'altra stringe a sè un putto alato che trattiene una colomba bianca. Il cielo azzurro chiaro è solcato dalle nubi: nei toni più carichi del lilla, rosa e grigio, quelle che sorreggono il gruppo delle giovani, nelle sfumature più chiare, le altre d'attorno.NR (recupero pregresso) |
notizie storico-critiche | Vedi S. Coppa, Morbegno, Palzzo Malacrida, in S. Coppa, E. Bianchi (a cura di), I Ligari. Pittori del Settecento lombardo, (Skira) Milano 2008, pp. 240- 243.Se Ascanio continuò ad ignorare le qualità di Cesare (1816- 20, p. 119), subordinandolo sempre alle lunghe descrizioni dedicate all'opera del Coduri, sarà il Damiani a riqualificare, per primo, con una lettera piena di elogi, gli affreschi del Ligari in Palazzo Malacrida: "Cesare Ligari è vario, leggero, semplice, naturale, snello, e dispone le sue figure senza troppo sforzo, e sempre ottiene la verità della prospettiva" (G. F. Damiani, 1901, p. ? ). Nella sala, in particolare, Cesare ha modo, una volta di più, di abbandonarsi al tono frivolo e giocoso di nubi, vesti, gioielli, incontrandosi felicemente con i toni e forme del decorativismo coduriano: "Le spalle candide, delicatissime, vive... e i lini e i nastri e i fiori" come elenca il Damiani (op. cit.) non potevano avere migliore inquadratura che negli stucchi e nelle nicchie del Vignoli. Per altre notazioni vedi qui di seguito:La critica ha ormai chiarito come i lavori di decorazione in Palazzo Malacrida abbiano rappresentato per Cesare Ligari l'occasione di liberare finalmente le sue affascinante nostalgia veneziano; la possibilità di una committenza aristocratica che lo tolse dall'angustia e grettezza dei repertori statici di parroci e canonici valligiani e gli permise di uscire definitivamente dagli impacci accademici, per esprimere la sua inventata più libera e brillante. L'omaggio a Gianpietro Malacrida, convinto assertore dell'illuminismo in un contesto culturale locale piuttosto retrivo, chiaramente traspare dal tema illustrato da Cesare in forma di apoteosi, nel grande salone d'onore e suggeritogli dal canonico Gian Simone Paravicini. La dicitura del dipinto, che appare appropriata, è stata proposta dalla Meli Bassi (1971, p. 68, n. 5), pare senz'altro la più appropriata. Inoltre i quattro busti collocati da Cesare nelle nicchie del Coduri (vedi scheda 03/ 00214136), potrebbero simboleggiare i quattro continenti esprimendo così il senso enciclopedico della raffigurazione delle arti e delle scienze secondo il principio dell'Illuminismo. L'affresco evidenzia eredità scenografiche del Carloni, e uno spirito rinnovato dal gusto cromatico e luministico dei veneti, che "gli suggeriva colorati fulgori e ridenti grazie" (R. Bossaglia, 1959, p. 228) ed un comporre brioso ed equilibrato cui accenna, unico elogio, anche il Malacrida: "le figure sono con eccellenza aggruppate" (Malacrida, 1816- 29, p. 117), ma per poi subito aggiungere: "Ma sparute nel viso. Non era troppo felice quel pittore nelle carnagioni". Il poco credito accordato dal Malacrida a Cesare, così come il giudizio sfavorevole del Giovio sono fonti significative che con ogni probabilità eccheggiano una posizione critica diffusa in Valtellina e a cui, in seguito, anche il Bassi (1924, p. 28), in parte, si atterrà. Sarà la critica più recente (R. Bossaglia op. cit.; L. Meli Bassi op. cit.)ad impegnarsi in una più giusta valutazione critica e tuttavia non è sfuggito come le figure "tradiscano una certa rusticità paesana nei tipi" (R. Bossaglia, 1959, p. 236); vi è una certa durezza negli arti e una spigolosità nei volti che lo riconducono al padre Gian Pietro e che da Cesare significativamente rimbalzano nel Romegialli che gli lavorerà accanto, proprio a Palazzo Malacrida. |