notizie storico-critiche | L'opera faceva parte della collezione dell'industriale piemontese Riccardo Gualino (Biella 1879 - Firenze 1964) e prima della seconda guerra mondiale si trovava nell'abitazione torinese in via Bernardino Galliari (A. Imponente, 'Dalla finzione neofeudale al razionalismo architettonico nelle abitazioni di Riccardo Gualino', in 'Dagli ori antichi...' 1982, p.15). La tavola è nota dal 1923 quando venne esposta alla mostra organizzata dal Circolo d'Arte e d'Alta Coltura di Milano con l'attribuzione a Vincenzo Foppa, messa in dubbio da Pasero ('La mostra lombarda del '400', in "Arte Cristiana", XI, 1923, pp. 244-253). Precedentemente il dipinto era stato attribuito a Bramantino, come attesta una scritta sul retro della tavola. A seguito del notevole apprezzamento ricevuto con l'esposizione di parte della sua collezione in Galleria Sabauda nel 1928, due anni dopo Gualino decise di donare alla Galleria una cospicua parte di tali opere, fra cui questo dipinto. Il quadro rimase dal 1933 al 1958 presso la sede dell'ambasciata italiana a Londra in Grosvenore Square ('Dagli ori antichi...' 1982, p.34). Nel catalogo della collezione Gualino del 1926 Lionello Venturi osserva nel dipinto "forme nettamente foppesche" e lo riferisce a Niccolò da Varallo (notizie dal 1445 al 1516) accostandolo a due scomparti delle vetrate di San Giovanni Damasceno e Sant'Eligio nel duomo di Milano (il n.49 del finestrone XXV con la nascita di san Giovanni Damasceno e il n. 29 del finestrone VI con la nascita di sant'Eligio), per i quali Niccolò venne incaricato con due contratti rispettivamente del 1479 e del 1486-89. Perciò Venturi data la tavola Gualino in quegli anni, ritenendola uno studio preparatorio per le vetrate o una replica della composizione di quelle, a loro volta forse tratta da un'idea del Foppa. Se Bernard Berenson persiste sull'attribuzione a Foppa ('Italian pictures of the Renaissance. A list of the principal artists and their works with an index of places', Oxford, Clarendon Press, 1932, p. 200; 'I pittori Italiani del Rinascimento', Milano, Ulrico Hoepli, 1936, p. 172), diversamente Carlo Ragghianti condivide il riferimento a Niccolò da Varallo, che come dimostrato dall'opera Gualino, si porrebbe quale fondamentale tramite della lezione di Piero della Francesca in Lombardia. Gli studi seguenti hanno ripreso la fondamentale interpretazione offerta da Ragghianti della personalità artistica di Niccolò da Varallo, maestro piemontese noto per aver eseguito alcune vetrate a Milano, Pavia e Lodi, la cui unica opera pittorica generalmente ascrittagli è l'affresco con la 'Nascita della Vergine' nella cappella delle Grazie nella chiesa omonima di Varallo (Gianni Carlo Sciolla, 'Ipotesi per Nicolò da Varallo', in "Critica d'Arte", XIII, 1966, n. 78, pp. 27-36; Angelo Ottolini, voce 'Nicolò da Varallo', in 'La pittura in Italia. Il Quattrocento', a cura di Federico Zeri, vol. II, Milano 1987, p.718). Noemi Gabrielli (1971, con bibliografia) confronta la tavola Gualino con questo affresco, entrambi raffiguranti lo stesso tema. Nel 1982 Giovanni Romano accosta il dipinto della Sabauda alla 'Madonna con il Bambino, le sante Dorotea e Caterina d'Alessandria ,e angeli musicanti' del Musée du Petit Palais a Parigi, assegnando entrambi prima a Nicolò da Varallo (in 'Zenale e Leonardo. Tradizione e rinnovamento nella pittura lombarda', catalogo della mostra, Milano, Electa, 1982, p. 84) e poi, sia pure con una certa cautela, ad Antonio da Pandino (in 'Da Biduino ad Algardi. Pittura e scultura a confronto', catalogo della mostra a cura di giovanni Romano, Torino, 1990, p. 93). Laura Paola Gnaccolini ('Ricerche su Nicolò da Varallo 'magister vitreatis'', in "Paragone", XLVII, 1996 (1997), nn. 551-555, serie 3, nn. 5-7, pp. 63-84, in part. pp. 66, 78 nota 27) ha chiarito la figura di Nicolò da Varallo come maestro prettamente di vetrate (peraltro mai ricordato dai documenti come pittore) e, pur rifiutandone per tale motivo l'attribuzione a Nicolò, aggiunge alle due tavole individuate da Romano un terzo dipinto, la 'Natività' già nelle collezioni bresciane Battaglia e Monteverdi. Tali opere vengono accostate dalla studiosa ai cartoni della prima fase delle vetrate di San Giovanni Damasceno, del Nuovo Testamento e di Sant'Eligio. Nel 2003 Stefania Buganza (in 'Vincenzo Foppa', 2003, con bibliografia) riferisce il dipinto della Sabauda, insieme alla ancona del Petit Palais e la tavola già Monteverdi, a un anonimo lombardo, certamente formatosi nell'ambito del Foppa "nel momento di massima adesione alle novità della pittura emiliana, in particolare cossesca", datando l'opera "qualche anno dopo il 1481 dell'incisione Prevedari", che la studiosa dice "citata nel frammento di arco sulla sinistra". || (SEGUE IN AN - ANNOTAZIONI) |