notizie storico-critiche | Il dipinto è una versione in piccolo ed in tondo del quadro di ubicazione ignota con una testa di vecchio con berretta e catena d'oro, pubblicato come di Govaert Flinck dal Sumowski (W. Sumowski,Gemälde der Rembrandt-Schüler, Landau (1983), VI, p. 3708, n. 2278b, ill. Questo dipinto, di provenienza inglese (da G.C.W. Fitzwilliam, Milton House, Peterborough, East of England) fino agli anni '50, reca a sinistra la scritta, di mano più tarda, "Rembrandt f." e fu inserito nel catalogo del grande maestro da C. Hofstede de Groot, Beschreibendes und kritisches Verzeichnis der Werke der hervorragendsten Holländische Maler des XVII. Jahrhunderts, Esslingen, Paris 1907-28, VI (1915), p.199, n. 436. Il modello di questo dipinto fu spesso usato dal Flinck anche per altre 'teste di carattere' o 'tronies', come osservato dal Sumowski: per una Testa di vecchio di profilo a Dresda. Gemäldegalerie, un Vecchio barbuto con catena d'oro del 1642 a Dublino, National Gallery of Ireland, una Testa di orientale a Liverpool, Walker Art Gallery; fu anche usato per la figura di Abramo nella Cacciata di Agar di Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie (W. Sumowski, Gemälde der Rembrandt-Schüler, Landau (1983), II, pp. 1033, n. 668; 1034, nn. 676, 677; 1022, n. 622, ills.). Entrato alla scuola del pittore e pastore mennonita Lambert Jacobsz. (Amsterdam 1588- Leeuwarden 1636) nel 1629, dopo aver superato le rituali resistenze del padre mercante di seta che lo voleva erede del mestiere, Govaert Flinck seguì poi come maestro Jacob Adriaensz. Backer (Harlingen 1608-Amsterdam 1681) a Leeuwarden e poi, dal 1633, ad Amsterdam, dove entrò in contatto con Rembrandt. Il suo primo dipinto datato è del 1636, un Sacrificio di Abramo a Monaco. Alte Pinakothek (W. Sumowski, Gemälde der Rembrandt-Schüler, Landau (1983), II, p. 1018, n. 611, ill.) reca una scritta secondo la quale il dipinto sarebbe stato mutato ed interamente ridipnto da uno di Rembrandt, e testimonia quanto stretto fosse il legame tra i due pittori. Ben presto tuttavia egli si affermò come maestro indipendente, con ritratti, quadri di storia e paeaggi, presso una clientela composta soprattutto dai confratelli mennoniti che rappresentavano la stessa clientela di Rembrandt. Il Flinck impiantò un fiorente atelier come Rubens, con parecchi collaboratori e con un arredamento ricco e scelto. Per lanciarsi nel mondo della nobiltà, che voleva differenzuiarsi in tutti i modi dalla ricca borghesia cittadina creandosi un'immagine più internazionale, il Flinck si accostò a poeti come Joost van der Vondel, che compose poesie d'amore sui suoi quadri; alla nobiltà Orange; prese come seconda moglie la figlia di un potentissimo direttore della Compagnia delle Indie Orientali, Sofia van der Houven. La sua carriera non conobbe gli insuccessi ed i ripiegamenti di Rembrandt, ed egli si aggiudicò ben due monumentali comissioni per il cantiere più prestigioso dell'Olanda, il Marco Curio Dentato disprezza i doni dei Sanniti (1656) per la Sala dei Borgomastri nel Municipio di Amsterdam e il Salomone chiede a Dio la saggezza (1658) per la Sala del Consiglio. Nel 1659 gli vennero commissionati, con un altissimo onorario, i dodici grandi quadri della Grande Galeria del Municipio di Amsterdam, impresa paragonabile per visibilità a quella delle Stanze Vaticane. Di essi egli riuscì a condurre parzialmente a termine un solo dipinto, la Ribellione dei Batavi sotto Claudio Civile, poi completato dopo la sua morte da Jürgen Ovens (Tönning 1623-Friedrichstadt 1678). Più sensibile di Rembrandt alle richieste del pubblico ed al mutare delle mode, il Flinck seppe trascorrere da un registro espressivo all'altro, modellandosi ora su Rembrandt, ora sui maestri della scuola di Utrecht, ora sui 'feinmaler' leidesi, ora sui coloristi fiamminghi. Così, se da una parte egli rinuncia all'approfondimento del suo discorso formale, dall'altra egli propone al suo pubblico una sorta di antologia stilistica, talora così abile da essere confusa con opere del modello. E' questo il caso del n. 186 ma soprattutto della sua versione in grande, che fece a lungo parte del catalogo rembrandtiano e che invece, esatta nella categoria della descrizione quanto superficiale in quella dell'introspezione, rientra perfettamente nei modi del Flinck. Analogamente, nel n. 186, la severità del personaggio è solo un'apparente concentrazione, ed il suo volto serve come esercizio di virtuosistica annotazione di pieghe espressive e di contrasti materici tra la pelle rugosa e la barba vaporosa e soffice. Il dipinto di collezione privata è databile al 1632 circa, ed appartiene ad uno dei momenti più intensamente rembrandtiani del Flinck. [segue in Annotazioni] |