dati analitici | Ai lati del riquadro, due canefore sembrano sostenere la trabeazione e l'alto fregio monocromo, indicando allo spettatore la tavola iscritta che tengono in mano. Al centro del riquadro è dipinta, di tre quarti, con lo sguardo rivolto verso sinistra, abbassato verso un oggetto non identificabile, la Saggezza, con il capo coperto da velo, indossa un'ampia tunica e mantello sulle ginocchia, panneggiati. E'seduta su di una panca in marmo, con fregio, sulla sinistra. Dietro di lei sono raffigurate due sfingi, l'una in colore chiaro e l'altra in colore scuro. Sotto i piedi, accavallati, si intravede un oggetto, forse una falce di luna. Ai lati del sedile sono raffigurati, sulla sinistra, una porzione di parete dipinta e sulla destra una colonna che fungono da quinta alla scena.Soggetti sacri. Allegorie-simboli: Saggezza. Abbigliamento. Attributi: (Saggezza) sfingi; falce di luna. Interno. Elementi architettonici: colonna; parete. Mobilia: panca. |
notizie storico-critiche | Anche in mancanza di notizie sulla fonte di questo ciclo pittorico e nonostante le molte ridipinture risulta chiara la formazione culturale dell'artista. La sensibilità spaziale, l'impostazione volumetrica delle figure, la citazione classica degli scranni marmorei con scene figurate rivelano la conoscenza e la comprensione delle opere fondamentali del primo Cinquecento romano. Il carattere stilistico di questi affreschi, dai richiami raffaelleschi all'eleganza del fregio qui particolarmente ricco e di qualità, rende questo ambiente quello più prossimo alle fonti romane rinascimentali (cfr. L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte, Torino, 1961, pp. 180-181). Più che negli altri ambienti qui risalta, nell'impostazione fortemente architettonica della composizione, una visione dello spazio piuttosto complessa: le figure allegoriche si inseriscono in riquadri, delimitati da cornici e canefore, nei quali è evidente l'intento di approfondimento prospettico e l'individuazione dell'ambiente attraverso la presenza di strutture architettoniche. I soggetti del fregio, coppie di putti su chimere, tra candelabri, volute e vasi, la loro composizione ordinata in coppie simmetriche e ripetute, l'uso del monocromo presuppongono un modello non ancora intaccato dal quel gusto anticlassico per il mostruoso e il fantastico, quale si rivela in molti esempi coevi di grottesche (cfr. C. Acidini Luchinat, La grottesca, in Storia dell'Arte Italiana, Torino, 1982, p. III, vol. IV, p. 179). Bibliografia generale di riferimento per il ciclo di affreschi di casa Alciati: P. G. Stroppa, Archivio della Società Vercellese di storia e arte, Vercelli, 1912, vol. II, p. 531; V. Viale, Guida ai Musei di Vercelli, Vercelli, 1935, pp. 19-21, tavv. I-IV; A. M. Brizio, Vercelli, Roma, 1935, pp. 163-164; P. Verzone, Il restauro della casa Alciati in Vercelli, Vercelli, 1936, p. 16; V. Viale, Vercelli e la sua provincia dalla romanità al fascismo, Vercelli, 1939, pp. 3-5; L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte, Torino, 1961, pp. 180-181; G. C. Faccio-G. Chicco-F. Vola, Vecchia Vercelli, Vercelli, 1961, pp. 128-129; P. Astrua-G. Romano, Guida breve al patrimonio artistico delle provincie piemontesi, Torino, 1979, p. 100. Gli affreschi, insieme a quelli che decorano gli altri otto ambienti di casa Alciati, furono restaurati negli anni 1933-1934 in seguito al ripristino delle strutture architettoniche dell'edificio, condotto dall'ing. Paolo Verzone a partire dal 1930. Non è stato possibile rintracciare i dati relativi al restauro pittorico, eseguito dall'impresa del comm. Cussetti di Torino. Del lavoro eseguito resta solo notizia nei cenni che il Verzone riserva a questo problema: "...Le parti mancanti non furono naturalmente rifatte, ma solo abbozzate schematicamente a tinte chiare, in modo che la differenza tra la parte originale e quella aggiunta fosse ben evidente" (cfr. P. Verzone, Il restauro della casa Alciati in Vercelli, Vercelli, 1936, p. 16). Presso il Museo Civico di Torino sono conservati i seguenti negativi relativi a tale ambiente: nn. 353/9462; 352/ 9453/ 353/9465; 353/9485; 353/9486; 353/9478; 353/9483; 353/9475; 353/9481; 353/9474; 352/9455; 352/9452; 352/9451. Per quanto attiene all'iconografia della sala, appare rilevante osservare che sono state utilizzate tradizionali fonti medievali, mantenutesi inalterate nel corso del Rinascimento, come attesta la Temperanza, dipinta analogamente all'immagine nella Stanza della Segnatura di Raffaello, e codificate in Cesare Ripa, Iconografia, 1613, (cfr. p. 100 per l'iconografia della Carità, a titolo di esempio). Di notevole interesse, inoltre, per l'allegoria della Fortezza, una rappresentazione molto simile in un'incisione di Marcantonio Raimondi (cfr. C. L. Frommel, Baldassarre Peruzzi als maler und Zeichner, Vienna, 1967-68, tav. LXX b). Il riquadro di sinistra della parete nord è quasi completamente occupato da una porta fissa che nasconde una vecchia apertura. Interessante, ai fini iconografici, sarebbe sapere se tale apertura risalga ad un momento precedente la decorazione oppure sia stata eseguita in epoca successiva. In tal caso, si dovrebbe forse modificare l'ipotesi qui formulata, sulla base delle proposte del Verzone e del Viale, della rappresentazione in questa sala delle sette Virtù dal momento che nel riquadro di destra, è raffigurato Sansone con la mascella d'asino, in atto di riposo appoggiato ad una clava. Di fronte a lui un cane seduto. |