notizie storico-critiche | L'opera proviene dal monastero delle terziarie francescane di sant'Antonio in porta sant'Angelo a Perugia. Il primo allontanamento del polittico dal complesso originario avvenne nel 1799 per volontà del Vermiglioli, che ne consigliò il trasferimento all'interno del palazzo dei Priori, tre anni più tardi, con la restaurazione del governo pontificio, il dipinto tornò nel convento di sant'Antonio, per essere definitivamente rimosso nel 1810 e trasferito nella Pinacoteca Vannucci, ancora situata all'interno del monastero olivetano di Montemorcino Nuovo. Finalmente nel 1885 il polittico, completo in ogni sua parte (due tavolette di predella erano entrate nel mercato antiquario e furono recuperate solo nel 1871), veniva collocato nella nuova sede della Pinacoteca, all'interno del Palazzo dei Priori. Il riassemblaggio della complessa macchina d'altare avvenne nei primi anni venti di questo secolo, i restauri successivi hanno mantenuto pressoché intatta la forma ipotizzata in quella occasione, fino all'ultimo intervento che dopo aver eliminato le cornici ottocentesche, ha ricreato la struttura scatolare della predella inferiore, con funzione di sostegno, dove sono stati in seriti i tre miracoli. Le vicende storiche e critiche relative all'opera sono molto complesse, visto che fin dal 1608 venne rimossa dalla sua collocazione originaria (altare maggiore) e vista l'originalità della sua struttura che ha portato alla formulazione di numerose congetture sulla sua forma originaria. La grande pala venne commissionata dalle monache francescane tra l'inizio dei lavori di abbellimento del convento databili intorno 1455 circa e il 1468, anno riportato su un documento, recentemente scoperto ( Mancini, 1992, p.23, n.99), riguardante la concessione da parte del Comune di Perugia di 15 fiorini alle monache di sant'Antonio per il pagamento di una tavola già eseguita, da riferire, secondo Mancini, a quella di Piero della Francesca. Essa era collocata sopra l'altare maggiore della "chiesa esterna", così chiamata per differenziarla da quella "interna", costruita poco dopo, la cui abside poligonale si andava a contrapporre a quella più antica (Lattaioli, 1993, p.61; Balzani, 1993, pp.47, 51, note 27, 28). Le due chiese avevano dei passaggi laterali che permettevano la comunicazione, in quella interna venne collocata la pala di Raffaello, tolta poi nel 1678 circa. Il polittico di Piero della Francesca fino al 1566 (anno in cui Vasari è impegnato nella chiesa di san Pietro a Perugia) si trovava ancora sopra l'altare maggiore (Vasari, 1568, pp.497-498), nel 1698 venne rimosso per far posto alla tela con lo Sposalizio di santa Caterina, di Vincenzo Pellegrini (Mancini, 1987, pp.89, 128-129, n.156). Più tardi è ricordato dal Lancellotti (Scorta Sacra, ante 1671, cc.196r-197r) in sagrestia, probabilmente in questa occasione vennero smontate e rimosse alcune parti (la cornice della cimasa, i pilastri laterali e la predella inferiore). Alla fine degli anni settanta del XVII secolo il polittico venne trasportato sopra l'altare maggiore della "chiesa interna", dove rimase per oltre un secolo al posto della tavola di Raffaello. Anche questa sistemazione fu traumatica per il dipinto, che subì ulteriori modificazioni. Infatti, non essendo più in grado di sostenersi da solo, avendogli tolto la predella inferiore che aveva una funzione di sostegno, questo venne addossato alla parete, la quale presentava al centro una apertura che metteva in comunicazione le due chiese (mentre i due passaggi laterali erano stati chiusi ). Tutto ciò provocò l'asportazione dello sportellino mobile (scomparto centrale della predella) e l'ampliamento dell'apertura. Dopo la citazione vasariana il polittico, stranamente, non godette di particolare fortuna nell 'ambito della storiografia locale. Spetta al Witting (1898, pp.30-35, 118- 121) il primo studio approfondito sul grande dipinto, anche se con alcune ipotesi oggi inaccettabili, come l'appartenenza delle varie tavole che lo compongono a due distinti polittici. L'Aubert (1898, pp.263-266), seguito da tutta la critica successiva, ritenne invece unitario il complesso; dato confermato anche dall'ultimo restauro, che ha evidenziato la presenza della tracciatura delle tavole con battitura di filo e a graffietto, indubbiamente riconducibile ad un progetto unitario e dettagliato della macchina d 'altare. Anche la fase successiva, quella della realizzazione pittorica, risulta unitaria, con l'adozione di tecniche diverse e con l'utilizzo di vari tipi di trasposizione del disegno a secondo delle necessità dell'artista. Recentemente Garibaldi (1994, p.178) ha proposto per l'opera una datazione molto vicina al 1459, anno in cui Piero si recò a Roma, dove deve aver conosciuto anche la pittura fiamminga come dimostrerebbero la croce di cristallo in mano a san Francesco, l'ampolla di vetro, le perle della Madonn a (Mencarelli, 1993, pp.105-110) e le riflettenti aureole dorate. |