notizie storico-critiche | L'opera, proveniente dalla collezione dell'industriale e mecenate piemontese Riccardo Gualino, è di difficile attribuzione, essendo stata alternativamente riferita a Melozzo da Forlì negli anni della sua attività romana, a Antoniazzo Romano e ai seguaci romani dell'uno o dell'altro caposcuola. Viene pubblicata per la prima volta da Lionello Venturi nel 1926 (e poi ancora nel 1928): lo studioso la considera un dipinto di Melozzo appartenente al periodo giovanile, e dunque di particolare importanza dacché si è conservato poco della produzione su tavola dell'artista e della produzione risalente alla sua prima attività. Adolfo Venturi accoglie tale attribuzione con pari entusiasmo, giungendo a ritenere il Cristo Gualino un capolavoro, probabilmente ispirato alle numerose riproduzioni di una icona del Salvatore conservata nella Cappella del Sancta Sanctorum in San Giovanni in Laterano, come del resto una miniatura conservata presso il Museo Bonnat di Bayonne, che lo studioso attribuisce a scuola melozziana A. Venturi, 'Recensione al catalogo della Coll. Gualino', in "L'Arte", 1926, p. 91; Id., 'Studi dal vero', Milano 1927, p. 120; Id., 'Un dipinto di Melozzo per San Giovanni in Laterano', in "Capitolium", 1927, pp.117-120). Roberto Longhi, dapprima include l'opera nel corpus dell'artista forlivese, poi l'assegna ad Antoniazzo Romano (in 'Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo', Forlì 1938, pp. 21-22 n. 54; R. Longhi, 'In favore di Antoniazzo Romano', in "Vita Artistica", 1927, p. 227). Carlo Grigioni, che la assegna a Melozzo, la data al 1456-59 (C. Grigioni, 'Il Cristo benedicente di Melozzo', in "Forum Livii", genn.-apr. 1927, pp. 23 e segg.). Georg Gronau la pone fra le opere incerte (G. Gronau, in 'Thieme-Becker-Kunstlerlexicon', Lipsia 1930, p. 371 ad vocem). Il Buscaroli la nega a Melozzo (R. Buscaroli, 'La pittura romagnola del Quattrocento', Faenza 1931, pp. 93, 153; Id., 'Le opere esposte', in "Melozzo da Forlì, rassegna d'arte romagnola", n. 4, 938, pp. 190-191, 215). Cesare Gnudi la pubblica nel catalogo della mostra monografica sul Melozzo svoltasi a Forlì nel 1938 e la ascrive a Scuola romana ('Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo. Onoranze a Melozzo nel V centenario della nascita', catalogo a cura di C. Gnudi e L. Becherucci, Forli, Tip. "Il Resto del Carlino", 1938, pp. 21-22). Pacchioni e Gabrielli nei cataloghi della Galleria Sabauda avanzano sempre il nome di Melozzo (Pacchioni 1932 e 1951; Gabrielli 1959, 1961, 1965, 1971). Così Stefano Valeri (1997) descrivendo l'interesse e l'apprezzamento di Adolfo Venturi nei confronti del 'Cristo benedicente' Gualino accetta l'attribuzione a Melozzo. Di recente, nel catalogo della mostra monografica dedicata a Melozzo tenutasi ancora a Forlì, Mauro Minardi menziona il dipinto torinese fra le derivazioni di "incerta definizione" del 'Salvator Mundi' della Galleria Nazionale delle Marche a Urbino (inv. 1990), opera peraltro a sua volta molto discussa riferita in quella sede allo stesso Melozzo, ma altrove a Bramantino e Pedro Berruguete (M. Minardi, in 'Melozzo da Forlì' 2011, pp. 170-172 n. 28 con bibliografia). Con il suo fondo d'oro e il suo aspetto arcaico di sacra icona, la composizione della Sabauda si inserisce nel clima culturale e figurativo romano della seconda metà del Quattrocento, caratterizzato dalla rievocazione dell'antica tradizione paleocristiana e bizantina, attraverso la produzione di opere riecheggianti prototipi medievali (antichi mosaici o dipinti), a cui aderisce anche Melozzo presente a Roma già intorno al 1469. Il dipinto mostra la sintesi di due linguaggi, la tradizione iconica bizantina e l'impaginazione prospettica derivata dalla lezione di Piero della Francesca, caratteri precipui del Melozzo romano. Per affinità compositiva, l'opera può essere accostabile al trittico del Sacro Volto di Antoniazzo Romano al museo del Prado, una sorta di altare portatile costituito ai lati da quattro santi e al centro dal Cristo ispirato al Volto Santo nella cappella del Sancta Sanctorum, tagliato alle spalle da una balaustra in corrispondenza probabilmente del un piano dell'altare su cui veniva appoggiato (A. Cavallaro, 'Antoniazzo Romano, "pittore "dei migliori che fussero allora in Roma', in 'Antoniazzo Romano Pictor Urbis, 1435/1440 - 1508', catalogo della mostra a cura di A. Cavallaro, S. Petrocchi, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2013, pp. 20-47 in part. pp. 29-30 e fig. 5). |