notizie storico-critiche | Il dipinto rappresenta l'esito delle sperimentazioni che Nino Costa compì tra il 1850 e il 1853 nei dintorni di Roma (Ariccia, Ardea, Circeo, Porto d'Anzio), dove numerosi studi dal vero portarono alla realizzazione di alcuni "abbozzi" che furono tradotti in opere di maggior respiro negli anni successivi. In questi studi, che continuarono poi almeno fino al 1859, Costa analizzava principalmente il rapporto tra figure e il paesaggio ("Danza di Carbonari", "Dormono di giorno per pescare di notte", "Donne che rubano legna nei pressi di Ardea in una giornata di libeccio", "Donne alla fontana nella piazza di Ariccia [Ad Fontem Aricinum]"), che permisero all'artista di maturare una prima personale concezione della pittura di paesaggio, derivata certamente dalla frequentazione di artisti di varia nazionalità e di diverse tendenze, tra i quali i tedeschi Achenbach e Böcklin, gli inglesi Mason e Coleman, e sostenuta da viaggi a Parigi (incontrando Corot e i Barbizonniers), Londra e Napoli, dove restò affascinato dai paesisti della scuola di Posillipo (Martinelli 1963, pp. 38-39; Marabottini 1990, pp. 16-18)."Donne che imbarcano legna nel porto di Anzio" rappresenta l'opera più rappresentativa di quella fase della carriera costiana e, invero, l'opera forse più innovativa dell'arte italiana dei primi anni Cinquanta, per soggetto, formato e tecnica, e per la fusione tra diversi linguaggi provenienti dalle più moderne tendenze artistiche europee. Secondo la testimonianza dello stesso Costa, l'opera nacque quasi da un'apparizione: "[...] andai a Porto d'Anzio, dove feci il bozzetto del quadro che tuttora conservo della "manaide" che sta al centro del quadro. Dopo una nottata piovosa, alla mattina, mentre si apriva il cielo, vidi delle donne che avevano sulla testa strani fardelli, che poi conobbi essere radiche di alberi, delle quali caricavano sulla barca. Ne ebbi una grande impressione; e principiai il quadro che fu compiuto nel 1852. Fin da allora io stabilii la norma fondamentale per fare un quadro. E cioè: far prima sul vero, un bozzetto di impressione il più rapidamente possibile: e, poi, fare dal vero studi dei particolari. Finalmente abbozzare il quadro, stando attaccato al concetto del bozzetto. Lo chiamo "eterno" perché ispirato dall'amore eterno del vero" (cfr. Costa 1927). Il dipinto terminato dunque già nel 1852, fu esposto alla mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma nel 1856 (ibidem), ma in seguito fu ritoccato in occasione delle successive esposizioni; l'artista, inoltre, non si separò mai dall'opera auspicando che fosse esposta alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, dalla quale fu acquistata alla Biennale di Venezia del 1903.La grande tela fu preceduta da un bozzetto ora in collezione Morra a Palermo (cfr. Martinelli 1963, p. 39, tav. 60, erroneamente indicata come proprietà della Galleria), rielaborando gli studi di barche eseguiti a Napoli nel 1850 e schizzi provenienti da un taccuino, in collezione privata, tra cui uno del golfo di Salerno. Nonostante la tematica apparentemente di genere, il bozzettismo viene eluso da Costa grazie ad un disegno di derivazione classica, fortemente inciso e scultoreo, che guida l'artista anche ad epurare il realismo dell'impressione "en plein air" del bozzetto, filtrandolo attraverso il sentimento e il pensiero secondo la prassi del paesaggismo classico italiano, a partire dalla sua nascita nel Seicento. Risulta evidente, in ultima analisi, come Costa abbia definito fin da questo dipinto una particolare espressione del "vero" in cui la varietà fenomenica del reale doveva essere selezionata e filtrata da una concezione già idealistica di un "vero" reso "eterno" e che fu teorizzato con maggior sistematicità in seguito al contatto col pensiero ruskiniano e al suo concetto di "Truth". Esattamente per tale sentimento della natura, l'opera incontrò grande apprezzamento al momento della sua esposizione al Salon di Parigi del 1863, incontrando i favorevolissimi pareri di Décamps, Troyon, Gleyre, Ricard, Hébert e dello stesso Corot (cfr. Costa 1927). Il quadro, inoltre, non mancò di lasciare una profonda impressione sulle ricerche in atto fra gli artisti toscani negli anni Cinquanta e Sessanta, in seguito al trasferimento di Costa a Firenze nel 1859 e alla sua presentazione, nel 1861, all'Esposizione Nazionale di Firenze con il titolo "Spiaggia romana" (I Macchiaioli 1976, p. 73, n. 15), spingendo artisti come Fattori ad abbandonare definitivamente il quadro di storia per dedicarsi alla pittura all'aria aperta. |