notizie storico-critiche | La prima formazione di Antonino Leto si compie a Palermo presso il pittore di storia Luigi Barba e nello studio del paesaggista Luigi Lojacono, grazie al quale assimila il naturalismo napoletano di matrice palizziana, dipingendo vedute e paesaggi dal vero, poi approfonditi nel successivo soggiorno napoletano. E' a Napoli infatti che il pittore entra in contatto con gli artisti della scuola di Resina - Giuseppe De Nittis, Marco De Gregorio, Federico Rossano e il toscano Adriano Cecioni - fautori di un'arte anti-accademica, di una rappresentazione più libera della vita quotidiana e del paesaggio alla cui base vi era l'osservazione attenta della natura e la descrizione oggettiva del dato visivo. Nel corso degli anni Settanta Leto soggiorna prima a Roma, dove conosce Francesco Paolo Michetti, poi a Firenze, dove entra in contatto con i macchiaioli, approfondendo la lezione già appresa a Napoli, ed è in seguito a Parigi, dove lavora per il mercante d'arte Goupil e stringe amicizia con De Nittis, per poi rientrare in Italia, stabilendosi infine a Capri. All'inizio degli anni Ottanta Leto è ormai un artista affermato della scena europea, presente alle maggiori esposizioni nazionali e internazionali, di cui sono apprezzati i quadri di marine e pescatori, le rappresentazioni di lavoratori e di soggetti umili, in linea con le tendenze più moderne della pittura di paesaggio. I Funari di Torre del Greco è tra le opere più celebri dell'artista. Ispirata all'omonima tela del 1882 di Gioacchino Toma (Napoli, Museo di Capodimonte), venne presentata all'Esposizione nazionale di belle arti di Roma del 1883, dove fu acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione. E' un'opera di cronaca sociale, che nel ritrarre gli uomini al lavoro, si ritrova in sintonia con il sentimento verista di Verga, rappresentando i lavoratori sempre con una visione lucida, partecipe ma mai patetica. Fulcro della composizione sono i funari, i fabbricanti di funi per imbarcazioni, una delle tante attività economiche che, verso la seconda metà dell'800, prosperarono in conseguenza dello sviluppo della cantieristica navale della città vesuviana.Immersi nella calda luce meridiana, sono rappresentati con straordinaria sensibilità cromatica nelle pennellate rapide e ricche d'impasto. L'opera riscosse un immediato consenso e contribuì al successo degli artisti meridionali (Michetti primo tra tutti, e poi Mancini, Cammarano, Lojacono) all'Esposizione romana del 1883. Tra gli altri, Francesco Netti aveva parlato dei Funari come di "una scena molto pittoresca, resa con carattere nei tipi delle figurine e con evidenza di sole" (Netti 1883, in Netti 1980, p.260); mentre un giovane Gabriele D'Annunzio, corrispondente per "Il Fanfulla della Domenica" e critico entusiasta nei confronti soprattutto della pittura di paesaggio del Sud Italia, aveva scritto: "I Funari di Leto alzano al gran sole i fiocchi di lino che si accendono di una viva biondezza nell'azzurro come alberi strani, in nudità abbagliante di terreno" (D'Annunzio 1883). |