notizie storico-critiche | Francesco Hayez fu uno dei massimi interpreti della pittura storico romantica italiana. La sua formazione inizia presso l'Accademia di Venezia, dove nel 1809 vince il premio del concorso indetto dall'Accademia stessa, che garantiva ai vincitori una borsa di studio per un triennio di perfezionamento a Roma. Qui lo accolse Antonio Canova, di cui divenne il suo protetto. La fonte di ispirazione per questo episodio tratto dalla storia medievale fu il testo di Simonde de Sismondi, Storia delle Repubbliche italiane dei secoli di mezzo, la cui traduzione italiana, risalente al 1817 - 1819, era nella biblioteca del pittore. La vicenda, rappresentata come una scena teatrale, offre in primo piano i protagonisti principali, che accesero la scintilla dell'insurrezione popolare siciliana contro gli angioini dominatori dell'isola nel giorno di Pasqua del 1282. Nel vespro della festività religiosa una giovane con i suoi fratelli e con il suo sposo, Ruggier Mastrangelo, si stava dirigendo alla Chiesa del Santo Spirito a Palermo. Un soldato angioino, Drouet, con il pretesto di perquisirla le toccò il seno. La donna cadde svenuta tra le braccia dello sposo mentre uno dei fratelli, riuscendo a sottrarre la spada al soldato, lo colpì a morte. Da qui ebbe inizio la rivolta del popolo contro l'oppressore: tema dal forte senso patriottico. Hayez realizzò diverse versioni dei Vespri siciliani: la prima risalente al 1822 fu commissionata dalla marchesa Visconti d'Aragona (Torino, collezione privata; Cat. ragionato, 1994, n. 57), la seconda del 1826 fu eseguita per il conte Arese (Lambrugo, Como, collezione Chiesa; Cat. ragionato, 1994, n. 214) ed infine nel 1846 realizzò quest'ultima tela, conservata alla Gnam, su richiesta del principe Vincenzo Ruffo di Sant'Antimo. Per l'esecuzione di questa versione il pittore impiegò quasi due anni, recandosi nel novembre del 1844 in Sicilia per ricostruire con maggiore fedeltà il luogo consacrato da quella strage. Nella prima tela la facciata della Chiesa del Santo Spirito occupa l'intero sfondo, il gruppo dei protagonisti è posto in primo piano al centro della scena e tutt'intorno si agitano gli altri personaggi, l'assassinio è avvenuto e la ribellione è in corso. In quella del 1835 l'artista cambia notevolmente la composizione cui fa da sfondo, non più la facciata del Duomo di Monreale, ma la fiancata esterna ed il gruppo è spostato leggermente a sinistra. Nell'ultima versione, infine, la costruzione architettonica della cattedrale è relegata sulla sinistra del quadro, quasi nascosta dalla vegetazione, mentre lo sfondo è occupato da un ampio orizzonte puro e trasparente interrotto dai monti che circondano Palermo. Sempre in primo piano, ma questa volta leggermente sulla destra, sono collocati i protagonisti. A causa del composto senso drammatico e dell'affettata gestualità il dipinto fu accusato da Argan di una eccessiva falsità teatrale che nasconde un'ideologizzazione politica. Secondo l'interpretazione risorgimentale, infatti, l'episodio dei Vespri siciliani si caricò del significato simbolico e politico di rivolta contro lo straniero, ma per Argan il sentimento patriottico è qui mascherato e tutto è vissuto in un impianto teatrale: "fondo, quinte, costumi, illuminazione ben regolata tra fondo e ribalta, distribuzione equilibrata dei personaggi, ciascuno con la sua parte. Muore trafitto il baritono, cantando; cantando risponde il tenore, che dopo averlo ferito si ritrae con mossa aggraziata; sviene come prescritto la fanciulla; il coro commenta in sordina; le comparse ripetono i gesti di circostanza. Tutto è incredibilmente falso e melodrammatico" (G. C. Argan, L'arte italiana dal Seicento all'Ottocento, Roma 1938, p.88). In occasione dell'intervento di restauro del dipinto avvenuto nel 1983 (cfr. Kermes 1990), attraverso indagini tecniche, si è scoperto che la tecnica usata dall'artista non è quella del colore ad olio, come indicato nei documenti, ma quella della tempera, il cui l'effetto simile all'olio è dato dall'aggiunta di cera naturale. |