notizie storico-critiche | Il 'Trionfo della Castità' faceva parte della collezione del marchese Agostino Adorno di Genova. Successivamente il dipinto, donato dal marchese Niccolò Crosa di Vergagni al re Carlo Alberto nel 1847, pervenne alla Regia Pinacoteca di Torino nel 1849 con l'attribuzione a Sandro Botticelli. Burckhardt ha proposto di riferirlo a Mantegna in alternativa a Botticelli, mentre Venturi l'ha assegnato a Benedetto Ghirlandaio. In seguito l'opera è stata attribuita in seguito a Cosimo Rosselli, su proposta di Bernard Berenson, e pubblicata come tale nel catalogo della Gabrielli (1971, p. 221-222 n. 106 con bibliografia precedente), che manteneva però aperta la possibilità che si trattasse di un altro autore, presumibilmente un miniatore. Nella seconda metà del Novecento il dipinto sono state avanzate varie proposte attributive, che denotano l'incertezza della critica, tanto che il dipinto è diventato il quadro eponimo di un corpus di opere pittoriche stilisticamente affini e coerenti fra loro. Nel 1967 Everett Fahy ha proposto di identificare il Maestro del Trionfo della Castità con il pittore e miniatore fiorentino Gherardo di Giovanni del Fora (1444/45 - 1497), attribuzione accettata dal catalogo della Galleria Sabauda di Paola Astrua (2000, p. 30). Secondo Vasari ("Le Vite", Firenze 1568, ed. a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-1885, III, 1878, pp. 237-243) l'artista fu una personalità versatile, "cervello sofistico", umanista, studioso di lettere antiche e musico, oltre che pittore e miniaturista, legato all'ambiente di Lorenzo de' Medici (cfr. N. Pons, in M. Gregori, A. Paolucci, C. Acidini Luchinat (a cura di), 'Maestri e botteghe' 1992, pp. 106-108). Al Maestro del Trionfo della Castità, alias Gherardo di Giovanni del Fora, vengono riferiti con il pannello della Sabauda, anche il 'Combattimento di Amore e Castità' della National Gallery di Londra e altre tre tavolette, oggi disperse, fino agli anni Quaranta del Novecento a Genova nella collezione Adorno, da cui provenivano anche la tavola inglese e quella torinese. Già il Fry (1918) riteneva che il dipinto torinese facesse originariamente parte di un cassone costituendone il fronte, mentre gli altri fossero le parti laterali. Inoltre Giovanni Carandente (1963) ha osservato che l'altezza dei pannelli di Torino e Londra è uguale, mentre il 'Trionfo' è largo quasi il doppio del 'Combattimento'. L'appartenenza dei dipinti già in collezione Adorno a un unico ciclo pittorico con l'opera torinese e quella inglese è stata confermata e precisata da Federico Zeri (1971), che ha pubblicato le loro immagini dimostrando continuità stilistica, iconografica e narrativa. Secondo lo studioso i pannelli formavano un cassone secondo la seguente ricostruzione: su un fronte, da sinistra, il 'Carro di Amore' (già Genova, coll. Adorno), il 'Combattimento tra Amore e Castità' (Londra, National Gallery), e le 'Compagne della Castità (Londra, coll. Chamberlin); sull'altro fronte, da sinistra, le 'Caste eroine' (già Genova, coll. Adorno) ed il 'Trionfo della Castità' (Torino, Galleria Sabauda); i due lati, 'Amore vinto' (già Genova, coll. Adorno) e 'Castità che reca le spoglie di Amore al tempio della Pudicizia' (già Genova, coll. Adorno). Il 'Trionfo della Castità' rappresenta uno dei 'Trionfi' di Petrarca, traducendo in termini figurativi i versi petrarcheschi: la Castità con il capo cinto di alloro, siede su un trono lussuoso, trainato da liocorni; ai suoi piedi vi sono la faretra e le frecce di Amore, vinto e legato; il seguito del corteo è costituito da un gruppo di giovani donne, alcune delle quali personificazioni delle Virtù, ed altre delle "beate donne caste" del passato, simbolo di virtù cadute in oblio. Sullo sfondo è ben riconoscibile la città di Firenze - con Palazzo della Signoria, Palazzo Pitti e Palazzo Medici - in una giornata primaverile (V. R. Niemeyer, in Scalini, Mario (a cura di), 'Pulchritudo, Amor, Voluptas' 2001). Il Ferretti propone una datazione intorno al 1485, di poco successiva ai frammenti di Philadelphia ed al Plinio di Oxford, collocabili tra il 1479 ed il 1482 (M. Ferretti, 1991, p. 80). |