notizie storico-critiche | L'unica documentazione restata sull'entrata di quest'opera alla Galleria d'Arte Moderna di Firenze, è un verbale di consegna, in un fondo di vari quadri, del Comune in data 6 maggio 1915. Nulla si sa quindi delle modalità di acquisto, avvenuto probabilmente in occasione della I Secessione Romana e per opera di Ugo Ojetti, secondo la testimonianza dell'artista. E' l'opera più conosciuta di Checchi, dove confluiscono le ricerche cromatiche del 1912 (studi per la "Coperta Rossa" sono certamente il bozzetto "San Salvi" e lo studio "Orti fiorentini"). Il pittore faceva risalire la forte impressione cromatica, centrata sulla dominante rossa della coperta, ad un ricordo d'infanzia, nel testo "Come ho scoperto il colore" (in "Giornale di bordo", Firenze, 3, 1971, quaderno 5, pp. 421-422): "Un altro forte ricordo del "mio colore" è quello di una giornata di prima estate. Andavo col babbo e i miei fratelli ... e il sole di mezzogiorno batteva sull'aia del Galletto. / Un carro rosso, una donna con un gran cappello giallo... Dopo tanti anni da quel giorno, per quel ricordo preciso e vivo, dipinsi uno dei miei primi bozzetti, "Il ritorno", che invano, dopo averlo cercato tanto, ho richiesto Primo Conti che non so come l'abbia avuto, e che fu la prima idea della "Coperta rossa" acquistata da Ugo Ojetti per la Galleria d'Arte Moderna di Firenze". Il solido impianto del quadro dimostra la volontà di programma, di manifesto che il Checchi gli attribuiva: vi si propone una costruzione della forma attraverso il colore, steso a piena pasta e a pennellate spesse su tutta la superficie da campire, mentre il volume è tagliato per piani cromatici, accentuando gli spigoli. In pratica si tratta di un passo avanti rispetto all'esperienza di Ghiglia, con una maggior forzatura del colore e una stesura volutamente più rozza della pennellata. Anzi, l'andamento della pennellata, per contrasto, sottolinea l'autonomia di ogni campitura, definendone il carattere di zona, di toppa cromatica. L'esempio francese, di Cézanne e di Van Gogh, confluisce in questo audace rinnovamento: ed anche se la conoscenza diretta di questi autori va post-datata alla Biennale del 1920, il loro peso in ambiente fiorentino, e soprattutto su Checchi, seguace della "Voce", non sarà stato indifferente. Checchi comunque si limita ad estremizzare l'esperienza post macchiaiola, né questo suo tentativo procederà oltre il 1915, finendo in un vicolo cieco. Visto con gli occhi dell'epoca, il quadro suscita interesse e scalpore: colpivano la brillantezza di smalto del colore, il cielo verdino, le ombre francamente colorate, la condotta precisa ma sprezzata, la luminosità meridiana. Tanto che alla Secessione Romana del 1914, il giornalista Ciappei trovava più rivoluzionario e audace Checchi con quest'opera , che il capofila dei "fauves" Matisse, presente nella sala accanto. |