notizie storico-critiche | Nel 1883, Sartorio esordì alla Esposizione Internazionale di Roma con un olio di tematica veristico-sociale, ispirato a Ribera e a Caravaggio, "Dum Romae consolitur morbus imperat", noto come "Malaria". Il crudo e violento realismo con cui il pittore trattava il soggetto di una madre piangente inginocchiata presso il cadavere del figlio, fu lodato dalla critica. Il dipinto fu poi acquistato da Angelo Sommaruga che lo rivendette, in seguito, al Museo di Bellas Artes di Cordoba in Argentina.Nel 1905, il pittore tornò sul tema e presentò all'annuale Esposizione degli Amatori e Cultori un dipinto molto simile al presente, "La febbre", di ubicazione ignota, che permette di datare l'opera in esame allo stesso periodo (Frezzotti 2006), invece che al 1913 come sovente proposto. Quest'ultima datazione era legata a quella che era creduta la prima esposizione del dipinto, identificato con "Alba lunare nelle Paludi Pontine", esposto alla Biennale veneziana del 1914, ma, poichè nel catalogo sono indicate solo tempere, sembra improbabile che possa trattarsi dello stesso dipinto (ibidem). Inoltre, alla mostra dedicata a Sartorio nel 1933 fu esposto un dipinto di identiche dimensioni appartenente a Marga Sartorio recante però la datazione MCMXXIII, che non trova riscontro nel dipinto della Galleria (cfr. Roma 1933 e Frezzotti 2006).L'opera in esame rielabora le ricerche condotte da Sartorio nell'Agro Pontino tra Ottocento e Novecento, trovando tangenze stilistiche con pastelli dal forte impatto visivo, come "Palude con il Circeo in lontananza" o il "Bozzetto per la Febbre" (cfr. Piantoni 1972, Piantoni 2001, Frezzotti 2006). Rappresentando una versione ulteriore rispetto al dipinto del 1883, riproposta nel momento in cui la tematica sociale era alla base della cultura romana primo-novecentesca, il pittore si dichiarava in sintonia con gli artisti che in quegli anni tornavano a dipingere la Campagna romana (in particolare del basso Lazio) con rinnovato spirito, cercando una sorta di riscatto per le popolazioni che viveva in condizioni più misere, nel momento in cui la nuova società industriale acuiva il divario tra il benessere delle città e la sorte riservata agli abitanti delle paludi pontine. Sartorio, dunque, prende parte al dibattito sulla bonifica dell'agro pontino cercando nella realtà i simboli di una umanità diversa, ma portatrice di miti e civiltà arcaiche, che andava scomparendo e che necessitava di essere tutelata. Ne risulta, in questo dipinto, un'ambigua visione, ancora fermamente simbolista, del rapporto tra morte e bellezza, rafforzata dall'ambientazione della scena in una palude deserta, tiepidamente scaldata da un sole malato, pallido ed esangue (cfr. Petrucci 2003). |