notizie storico-critiche | Nel primo decennio del novecento Giulio Bargellini frequenta a Roma i gruppi intellettuali legati alla Massoneria, in particolare Ettore Ferrari, Cesare Maccari e Emilio Gallori. Il soggetto di questo trittico è infatti un'iconografia che già dal 1876 interessava i circoli laici romani, i clericali e i gruppi massonici. Quest'ultimi si impegnarono nell'erezione del monumento al filosofo nolano in Piazza Campo di Fiori a Roma ad opera di Ettore Ferrari, che fu inaugurato il 9 giugno del 1889. Giordano Bruno fu uno degli eretici più famosi e per questo venne scelto proprio per il suo valore simbolico di pioniere della libertà di pensiero. Vittima del fanatismo religioso, venne condannato al rogo dalla Chiesa nel 1600. L'opera, conosciuta anche con i titoli: Luce (cfr. Fleres, 1911) e Giordano Bruno (cfr. Bistolfi s.a.), è la glorificazione allegorica del filosofo che nel trittico occupa il pannello centrale. Il dipinto venne presentato all'Esposizione di Roma nel 1911 e la scelta iconografica del filosofo nolano rispondeva probabilmente ai nuovi cambiamenti politici avvenuti nella capitale. Nel 1907 era stato, infatti, eletto alla carica di sindaco di Roma il massone Ernesto Nathan, che, grazie al cosiddetto "Blocco Nathan", l'Unione liberale popolare, composta da radicali, repubblicani e socialisti, mirava all'attuazione di un programma politico rivolto alla ripresa sociale. La libertà di pensiero e l'emancipazione dai dogmi religiosi della Chiesa cattolica erano alcuni dei principi su cui si basava la sua azione politica ed anche l'organizzazione dell'Esposizione romana, voluta dalla sua amministrazione, rientrava nel suo programma di progresso e di rivalutazione di Roma dal punto di vista culturale, architettonico ed urbanistico. Il pensiero di Giordano Bruno, dunque, inteso in questa nuova prospettiva poteva ormai risorgere e tornare finalmente alla luce dopo essere stato oscurato e condannato dalla Chiesa cattolica. Agli stessi contemporanei dell'artista l'iconografia dell'opera destò però qualche dubbio, Antonelli commentava così il dipinto: "Gli altri quadri che hanno impronte di pensiero non possono meritare il nome di allegorici. Giulio Bargellini ha una Resurrezione, nella quale con intenzioni apologetiche evoca la figura di Giordano Bruno; solo nel pannello centrale del trittico, nel quale è rappresentata la figura del frate nolano, si può indovinare un oscuro pensiero, per il quale però questo quadro sembra quasi destinato ad un altare dedicato al martire ancora non santificato", (cfr. Antonelli, 1912, pp. 149-150); e Pica ne sottolineava ancora la difficoltà d'interpretazione: "A completare questa rassegna di pittori italiani di figura è indispensabile che io segnali ancora il Bargellini con la sua glorificazione di Giordano Bruno di vivace colorazione, ma d'invenzione alquanto complessa e sconnessa" (V. Pica, 1913, p. CLIV). Oltre alla figura centrale del pensatore nolano, infatti, il trittico si compone di altre due pannelli, disposti ai lati e raffiguranti: quello a sinistra, Pegaso, il mitico cavallo alato nato dalla Gorgone Medusa e da Poseidone, e l'eroe Bellerofonte, che insieme a Pegaso compì le sue imprese più famose; quello di destra, ritrae delle fanciulle, probabilmente le Muse o le Pieridi, figlie di Piero, identificabili in questo caso dalla grande conchiglia su cui sembrano battere il tempo. Anche se di difficile interpretazione iconografica è comunque possibile avanzare un'unione simbolica tra i tre pannelli. I due laterali sono collegati tra loro dalle leggende mitologiche circa la famosa gara di canto tra le Muse e le Pieridi, in cui era intervenuto Pegaso. Il cavallo fu costretto a colpire con uno zoccolo il monte Elicona, che si era ingigantito fino a minacciare il cielo dopo aver udito il celestiale canto delle dee. I due pannelli laterali sono connessi con il personaggio del filosofo poiché, probabilmente, l'artista ha voluto fare riferimento ad uno degli scritti di filosofia morale di Giordano Bruno, ossia la Cabala del cavallo Pegaseo (1585), componimento caratterizzato da una feroce satira anticristiana e dall'importanza dell'arte della mnemotecnica. Le Muse, figlie di Zeus e Memoria, autrici di esaltazione e delirio, ispirano profonda dottrina consentendo al poeta di realizzare un'opera che risplende per l'invenzione piuttosto che per l'imitazione, ma nell'Oratio Consolatoria del 1589 Giordano Bruno afferma che le Muse, le quali dovrebbero essere libere per diritto naturale, sono invece calpestate dalla Chiesa. Il cavallo Pegaso viene inoltre inteso come simbolo della vita spirituale del poeta e della sua ispirazione che si eleva indomabile, incurante di qualsiasi ostacolo terreno. La coppia Pegaso e Bellerofonte sarà proposta nuovamente nel 1913 dall'artista in una delle quattro lunette a mosaico per il monumento a Vittorio Emanuele, nella quale i due personaggi mitologici rappresentano il libero pensiero (cfr. Illustrazione Italiana, 1921, p.267). |