notizie storico-critiche | La tela venne registrata nell’inventario manoscritto della Reale Galleria di Torino del 1851 come ritratto di Carlo II di Francia e copia da Van Dyck. Nel successivo catalogo iniziato nel 1871 da Francesco Gamba l’opera fu invece attribuita a Giacomo Vighi detto l’Argenta, artista ferrarese approdato alla corte sabauda nel 1561 a cui, nel 1569, venne conferita la patente ducale di pittore di corte. La suddetta citazione inventariale è stata corretta a penna da Alessandro Baudi di Vesme che, mantenendo l’attribuzione all’Argenta, modificò il soggetto dell’opera indicando il personaggio ritratto come Carlo III di Polonia. Nel più recente inventario Gabrielli del 1952 la tela è stata registrata, con l’ormai consolidata assegnazione al Vighi, come Carlo II di Polonia, probabilmente sulla scorta dell’iscrizione visibile nella parte superiore sinistra dell’opera, su una porzione di tela che sembra manomessa o interpolata, in cui il personaggio è indicato come “Carlo II re di Francia e di Pollonia”. Sappiamo che l’unico ad aver rivestito tale doppio ruolo fu Enrico III di Valois, figlio di Enrico II e Caterina di Medici che, in seguito alla vacanza del trono polacco, venne eletto re di Polonia nel 1573 ma l’anno seguente, alla morte del fratello maggiore Carlo IX, rientrò in patria per essere incoronato re di Francia (1574-89). Le testimonianze iconografiche relative al Enrico III, quali ad esempio il disegno di scuola francese databile al 1571 circa della Bibliotèque Nationale di Parigi (Jollet 1997, p. 222) o il ritratto della scuola di François Clouet alla Gemäldegalerie di Berlino (Capella, in Lucchesi Ragni, Stradiotti, a cura di, scheda 10 p. 100), non sembrano però confermare tale possibile identificazione. Il personaggio della tela della Galleria Sabauda presenta invece affinità fisionomiche con molti ritratti del fratello Carlo IX di Francia (1561-1574; si veda Personaggi ritrovati 2001) attribuibili a François Clouet o ai suoi epigoni, come ad esempio la tavola a mezzo busto della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, realizzata probabilmente dal maestro a ridosso dell’incoronazione del 1561 (Capella, in Lucchesi Ragni, Stradiotti, a cura di, scheda 10 pp. 99-101), o il disegno databile al 1566 conservato all’Hermitage di San Pietroburgo (Jollet 1997 p. 245). Una particolare consonanza sembra ravvisabile, anche per l’assetto compositivo, tra il ritratto della Sabauda e quello, databile al 1566, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, ritenuto autografo di Clouet e replicato dalla sua bottega in una tavola oggi al Louvre (ibidem, p. 242). La posizione della figura, l’abbigliamento, la rotazione e i tratti del volto appaiono simili rispetto all’effigie torinese che sembra però distinguersi per due elementi particolari: in primo luogo l’età più matura del re e in seconda istanza la presenza del collare dell’ordine cavalleresco di San Michele Arcangelo, fondato dal Luigi XI di Francia nel 1469 (ibidem, p. 105; Colleville). Lo stesso monile si nota anche nel ritratto di re Francesco I al Louvre (Jollet 1997, pp. 116, 119) e, nascosto dalla mano del sovrano, in un’altra rappresentazione di Carlo IX venduta da Sotheby’s nel 1993 (ibidem, pp.254-255). Il confronto stilistico con le tre opere firmate da Giacomo Vighi detto l’Argenta, vale a dire con i ritratti di Emanuele Filiberto di Savoia (Lanzi 2005, in Astrua, Bava, Spantigati, a cura di, scheda n. 8 pp. 84-85; Bava 2009, in Spantigati, a cura di, scheda 1.1 p. 80) e di Carlo Emanuele I fanciullo (Lanzi 2005, in Astrua, Bava, Spantigati, a cura di, scheda n. 9 pp. 86-87) conservati alla Galleria Sabauda e con il ritratto dello stesso Emanuele Filiberto oggi a Venezia in collezione privata (Di Macco 2007, in Castelnuovo, a cura di, scheda 1.16, vol.II pp. 15-16), non sembra confermare la tradizionale attribuzione del ritratto di Carlo IX al pittore ferrarese che pure, in virtù della sua esperienza presso le corti di Francia, Spagna e Germania, dimostra una cultura figurativa pienamente inserita nella corrente del ritrattismo manieristico internazionale. Per l’opera sembra dunque più plausibile proporre un’attribuzione all’ambito culturale francese ed avanzare una possibile datazione al terzo quarto del Cinquecento. |